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D’accordo. Lo ammetto subito. È un titolo sensazionalistico.
Il fashion blogging non è realmente morto. I dati sul blogging, al contrario, continuano ad essere molto incoraggianti.
Secondo uno studio del Boston Consulting Group, infatti, il Word of Mouth (inteso come passaparola fisico, passaparola tramite blog e passaparola tramite social network) è la prima leva di influenza degli acquisti, lasciandosi alle spalle, nell’ordine, la carta stampata, gli eventi, le vetrine, i siti web aziendali, la Tv e il cinema, le celebrities e i testimonial. Nota importante: la quota relativa alle celebrities cresce. Le celebrities sono destinate dunque a risalire la china in qualità di influencer.
Perché, allora, dico che il fashion blogging è morto?
È morto sicuramente un certo modo di fare di blogging, un tipo di blogging che noi di Les Cahiers abbiamo contribuito a diffondere, promuovere e amplificare, quello delle ragazze comuni, delle pionere, delle geek con la passione per la moda, quello di chi scrive, di chi esprime delle opinioni, ha delle idee, qualcosa da dire, delle convinzioni, quello di chi offre agli altri delle opportunità di riflessione.
Sì, questo tipo di fashion blogging è morto. Perché? Perché non ha dato i risultati sperati, perché non interessa più a nessuno e perché sono intervenuti dei mutamenti profondi che lo hanno reso superato.
Abbiamo tenuto sotto osservazione il fenomeno in questi anni, e anche nell’ultimo periodo, nonostante il nostro silenzio, il silenzio sulle nostre classifiche, non abbiamo mai smesso di osservarlo.
Cosa è successo?
In breve: il panorama è stato ridisegnato. Oggi la cornice all’interno della quale i blogger della moda (che sono vivi e vegeti e continuano ad avere un grandissimo seguito) si muovono è diversa da quella di qualche anno fa. Cos’è cambiato? Analizziamo in dettaglio i mutamenti:
- La fine dell’homepage e del sito Internet. Il sito Internet, inteso come dominio registrato, non è più consultato da nessuno. Basta ricercare su Google un qualsiasi brand della moda. Tra i risultati apparirà prima di ogni altro l’e-Commerce di tale brand. Molto spesso, lo stesso sito Internet sarà stato convertito totalmente in e-Commerce. E poi svariate pagine, secondo la ratio della SERP di Google. Oggi il mondo intero è sui social network. E anche il fashion blogging si è spostato sui social network. Prendiamo atto che oggi si blogga sui social. Con ciò intendo dire dunque che non è morto il fashion blogging, ma che il fashion blogging ha cambiato piattaforma. Con delle conseguenze che vedremo più avanti.
- Il successo planetario di Instagram. La moda è approdata su Instagram e ha conquistato totalmente questo network. Altro che storytelling, la moda ha mostrato a se stessa e agli altri di non aver bisogno di racconto. Da sempre vive di immagini. E Instagram è il mezzo perfetto per celebrare tutto ciò che è semplicemente iconografico. Ultimo non utimo, dati alla mano, Instagram ingaggia il consumatore più facilmente di qualunque altro mezzo. Nemmeno Facebook, tuttora a livello generale il social network numero 1, riesce a tenere testa ad Instagram in tema di engagement. Per non appesantre troppo la lettura, consiglio di rileggere, per i dovuti approfondimenti, Instagram vs Facebook: un confronto ad armi pari.
- Sono avvenuti, nel fashion blogging, anche dei cambiamenti indipendenti dai social o dalle tecnologie. Ad esempio, nel tempo i blogger si sono lasciati assorbire dalle agenzie. Un’agenzia, una visione della moda. Cento blog di una sola agenzia, una visione della moda. Le agenzie top sono relativamente poche. Risultato: blog tutti uguali, appiattiti, senza alcun contenuto, svuotati di personalità, di unicità, di singolarità. I blogger hanno smesso di essere blogger e sono diventati modelli, utilizzando i codici tradizionali di comunicazione della moda. Può essere utile rileggere l’articolo Non chiamateli fashion blogger.
- Totale incapacità delle blogger di andare oltre la vanità. Tutte alla ricerca frenetica di un endorsement qualsiasi (testate giornalistiche, classifiche, contratti, collaborazioni e quant’altro) hanno creato alle aziende solo problemi: capricci da star, un can can di pettegolezzi senza fine, lunghe e noiose polemiche su dinamiche invece consuete per chi opera nel settore da anni. In sintesi: totale mancanza di professionalità e ancor più spesso di semplice buona educazione. Ovviamente non si può fare di tutt’un erba un fascio, ma tant’è.
- Totale incapacità delle testate giornalistiche di fronteggiore il fenomeno. Nel tentativo di inglobare le blogger, per togliere loro potere, hanno svuotato se stesse. Oggi la qualifica di “reporter” o di “blogger come here” o simili non si nega a nessuno. E questo, sfortunatamente, ha svuotato di prestigio le stesse testate. La ragazza che non ha mai avuto una reale esperienza professionale nel settore può fare personal branding associando il proprio nome al nome di una testata storica e carica di allure. Mi chiedo cosa dicano le reporter vere ma soprattutto mi interrogo su quale valore una ragazza qualunque possa portare alla testata. Cosa pesa di più sulla bilancia della rivista: il numero di contatti o l’equity?
- Come tutte le mode, anche quella del blogging è destinata a sparire. Ciò che prima faceva tendenza, oggi comincia ad annoiare. E chiaramente mi riferisco qui non alla tecnologia o al blogging in quanto tale ma all’abitudine delle aziende di utilizzarli a scopi promozionali.
I sei elementi sopra espressi definiscono lo scenario nel quale si muovono i blogger oggi.
Se il fashion blogging è morto, quali sono le nuove tendenze in atto?
Non dimentichiamoci, lo ripeterò fino alla morte, che la nostra testata è rivolta ai marketer e ai decision maker della moda e lo scopo dichiarato della nostra rivista è di offrire un aiuto alle decisioni, aiuto supportato da dati.
Quindi tutte le nostre osservazioni (le mie e quelle dei collaboratori della testata) partono da un presupposto: in che misura è utile questo articolo a chi ci sta leggendo? Come si evolvono i fenomeni? Quali sono i trend in atto? Che tipo di previsione può essere fatta per il futuro?
A noi piace il marketng scientifico, quello supportato da dati. Abbiamo avuto sempre l’ossessione delle metriche.
Quindi in questo caso ciò che vogliamo realmente indagare è: alla luce dei cambiamenti in atto appena descritti, quali decisioni è più giusto che un marketer prenda? Quali sono le strade da seguire? In che direzione spostare gli investimenti?
Proviamo a dare alcune risposte.
La migrazione dei blogger su Instagram li ha messi a diretto confronto con delle vere e proprie star internazionali, star del jet set, celebrities di ogni settore. Quindi, attenzione, il gioco si fa più duro. Perché se io sono un marketer, e se voglio promuovere i miei prodotti o la notorietà del mio brand o se voglio intraprendere una qualunque attvità di marketing che coinvolga i social e in particolare Instagram, beh, allora opto per qualcuno che possa portare un valore aggiunto alle mie operazioni. Opto per qualcuno che non solo abbia almeno qualche milione di fan, ma che abbia anche un giro di relazioni nel mondo reale che la maggior parte dei blogger e delle blogger nostrane si sognano (Chiara Ferragni, con 6 milioni di fan e una media di 70.000 like per post, e Mariano di Vaio, con 4,8 milioni di fan e una media di 60.000 like per post, sono gli unici in Italia che siano in grado di competere a livello internazionale e dunque gli unici ad essere diventati vere e proprie star). Scelgo in definitiva un “word of mouth” che tra social, vita reale e seen wore mi porti un reale successo di business. Tanto per dare un’idea di numeri, un personaggio come Kim Kardashan West, certamente corteggiata dalle case di moda, su Instagram ha 71 milioni di fan e like per post che arrivano a superare anche il milione. Vale la pena di ricordare, giusto er far capire il giro di relazioni reali che può avere una celebrity di questo calibro, che Kim non è solo un’attrice, una modella o un’imprenditrice, ma è anche figlia di un noto avvocato californiano, Robert Kardashian, venuto a mancare nel 2003, noto per aver difeso e fatto assolvere O.J. Simpson.
C’è inoltre una nuova tendenza in atto che vale la pena di essere citata e che a mio avviso assume una connotazione ancora più particolare. C’è voyeurismo in chi legge e l’attenzione di tanti, tantissimi giovani (non dimentichiamoci che i millennials, il target più appetibile delle aziende, stanno tutti lì: su Instagram e Snapchat) è sempre più rivolta ai figli delle celebrities. Alla ricerca spasmodica di verità e di realtà, e non di artificio e finzione, i millennials sono a caccia di ispirazioni che possano giungere da chi è giovane come loro, da chi frequenta il jet set, da chi è ricco, da chi frequenta i giri giusti. Da chi, in definitiva, ha una vita reale di sicuro interesse e successo. Gli occhi dei giovani sono tutti puntati su di loro.
È un dato confortato dal tasso di engagement molto alto delle loro pagine. Benchè il numero di fan possa risultare basso rispetto a quello delle pagine delle celebrities, l’egagement è maggiore. C’è più interesse. Ed è una tendenza certamente destinata a crescere.
Le millennials star (ovvero le star dei millennials)
Chi sono queste “millennials star”?
Faccio qualche nome:
Lily-Rose Melody Depp, figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis, modella e attrice, 17 anni, nuovo volto di Chanel.
Willow Smith, figlia di Will Smith e Jada Pinkett Smith, 15 anni
Dakota Jhonson, figlia di Don Jhonson e Melanie Griffith, modella e attrice, 26 anni
Georgia May Ayeesha Jagger, figlia di Mick Jagger e Jerry Hall, modella, 24 anni.
Kaia Gerber, figlia di Cindy Crawford e Rande Gerber, modella, 15 anni.
Amber Le Bon , figlia di Simon e Yasmin Le Bon, modella, 26 anni.
Aurora Hunziker-Ramazzotti, figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, 20 anni.