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L’unico ad aprire bocca è Silvio Orlando, che sentenzia: “Hai rott’ u’ cazz!”.
Fine della storia.
La cura maniacale per la messa in scena, l’umorismo che esplode inatteso, la volontà di non essere mai serio ma lo stesso voler dire le cose più serie in assoluto e quella particolare caratteristica di Paolo Sorrentino di svilire la singola scena per cercare un senso nell’aggregato di tante scene diverse, sono tutti in questo passaggio.
The Young Pope era partito facendo pensare che avremmo visto una serie di intrighi ma poi ha cambiato registro.
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Proprio quando tutti credevamo che potessero partire sotterfugi e trame secondarie, Voiello si è rifiutato di diffondere le foto compromettenti che aveva fatto scattare, e la serie ha così congedato ogni sospetto di essere “una House Of Cards tra preti”. Anche la trama dei genitori del papa sembra essersi chiusa prima di tramutare la serie in qualcosa che non è. Abbiamo visto Lenny Belardo forse innamorarsi, ma di una passione che non ha niente a che vedere con quella de I Borgia; lo abbiamo visto cercare di fare la rivoluzione, ricevere capi di Stato e lottare per cambiare le cose, ma non siamo nemmeno nella sfera di Mad Men.
Come se sapesse bene solo cosa non vuole essere, The Young Pope sembra pensata per deludere le aspettative, eppure nei suoi episodi così densi c’è una qualità dirompente. Come il caso del presunto santo fa ben capire, in questa serie sulla massima istituzione religiosa al mondo, la religione c’entra ben poco. Dovessimo riassumere il succo della vicenda, diremmo: “la storia di un reazionario moderno in un’istituzione antica”. Pio XIII, rivoluzionario della scomparsa, politico che rigetta il consenso facile, innovatore (forse) in un’istituzione dominata da anziani che non ne vuole sapere di cambiare, è una figura potentissima. Scarpe rosse, veste sfarzosa e sigaretta, annoiato e pieno di sicurezze.
Nell’ultimo episodio mandato in onda, il papa affronta il suo primo viaggio all’estero e incontra un altro piccolo centro del potere religioso: una missione capeggiata da una suora con metodi assai discutibili. Sulla via del ritorno Pio XIII invoca Dio e la Madonna affinché puniscano la suora, e sembra davvero ottenere per volontà divina, ciò che ha domandato. Ebbene, elementi sovrannaturali così forti all’interno della narrazione, di norma decretano l’identità di tutta una serie, calando sul tavolo la carta del misticismo (Lost) o dell’assurdo imprevedibile (Breaking Bad).
Invece in The Young Pope assumono altra valenza.
A essere rigorosi e secchioni The Young Pope andrebbe definita “comedy” per l’importanza rivestita dall’umorismo.
Non solo quello che doveva essere il personaggio più terribile, una sorta di villain, il cardinal Voiello, è finito col diventare una macchietta, deputato alla risata facile, ma anche gli snodi più importanti sembrano passare per l’ironia e il grottesco. Ironia che spesso è anche soltanto visiva, non di parola; giocata su immagini inattese o contrasti improvvisi come la scena di “Hai rott’ ‘u cazz’!”.
Com’è ormai regola nei mondi di Sorrentino, il terribile e lo spietato sono parenti del ridicolo, senza che questo ne sminuisca la potenza. È un immaginario unico e la maniera in cui Sorrentino lo sta adattando al Vaticano è incredibile.
Perché in fondo il potere è l’unica cosa che interessi davvero indagare al regista. Cosa fanno, cosa pensano, cosa preoccupa le persone potenti. I piccoli cantanti da night club riveriti come celebrità, i grandi politici, le rockstar, gli strozzini o il re dei mondani, tutti quelli che possono esercitare un potere lo affascinano. Il papa è un capo di Stato che non può essere deposto, uno che non deve rispondere a nessuno e che per definizione è “infallibile”. Nell’ammettere il suo primato, nell’indagarlo e deriderlo con i costumi, gli abiti, i colori e i rituali che gli sono propri, sta il fascino di questa serie splendida ma anche dolorosa per quanto sappia essere a tratti noiosa.
La serialità è fatta di tempi lunghi, è un grande romanzo che scorre come un fiume, il cinema invece, per esigenze di tempo, lavora di sintesi. Dovendo raccontare molto in poco tempo, il linguaggio del cinema è fatto di momenti che riassumono tantissimo in un’immagine sola. Sorrentino fa questo anche in tv, lavora di sintesi invece che di verbosità. Possiamo considerarlo sbagliato o fuori luogo, ma di certo non brutto.
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