venerdì, Marzo 14, 2025

10 anni dalla morte di Piergiorgio Welby, che cosa è cambiato da allora?

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Oggi, 20 dicembre, sono 10 anni che Piergiorgio Welby è morto. Welby, malato di distrofia muscolare, era collegato a un ventilatore meccanico e, nel settembre 2006, aveva chiesto che fosse staccato. Aveva anche chiesto di essere sedato. Richieste legittime, ma la cui soddisfazione si era rivelata – come in molti altri casi – non proprio scontata. Welby era in grado di intendere e di volere, la possibilità di rifiutare qualsiasi trattamento (no, non si sta parlando di eutanasia) è garantita e la richiesta di sedazione è legale.

Eppure Mario Riccio, il medico che aveva accettato di soddisfare la volontà di Welby, è stato sottoposto a un procedimento disciplinare.

E richieste analoghe si sono arenate in ostacoli vari.

Alcuni giorni fa, un giudice di Cagliari ha ordinato di garantire la richiesta analoga di Walter Piludu. Piludu era malato di Sla e anche lui aveva chiesto, tramite il suo amministratore di sostegno, il distacco dei presidi medici. Il giudice, autorizzando la richiesta, ha ricordato che la Costituzione prevede il consenso dell’individuo per qualsiasi trattamento sanitario – anche in presenza di un pericolo per la vita (articoli 32 e 13).

L’autodeterminazione, insomma, è più forte della sopravvivenza (a condizione che la richiesta provenga dal diretto interessato).

Il giudice ha ricordato anche che nel 1997 il governo italiano ha firmato la Convenzione di Oviedo che prevede la possibilità di ritirare il consenso a qualsiasi intervento medico, condizione necessaria per poter effettuare un trattamento.

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Nessuno può obbligarmi a curarmi, e nessuno può impedirmi di smettere se ho accettato di cominciare (lo stesso vale qualora sia necessario un macchinario come un ventilatore o una Peg per la nutrizione parenterale), che non è altro che uno speculare diritto.

Nonostante l’adesione alla Convenzione non sia stata depositata al Consiglio d’Europa, quell’indicazione ha un valore per il giudice. In questa direzione si orientano anche il Codice di deontologia medica e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Il quadro normativo richiamato impone, pertanto, il rispetto assoluto della volontà del soggetto nei trattamenti sanitari, e ogniqualvolta il rifiuto sia informato, autentico e attuale non vi è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico”, ha concluso il giudice.

Questa sentenza è importante. Ma perché è stata necessaria? E cosa è successo nei dieci anni tra Welby e Piludu?

Alla prima domanda non è facile rispondere. Paternalismo? Convinzione che la vita sia sempre e comunque preferibile, nonostante il parere del suo proprietario?

Per la seconda si potrebbe immaginare, in aggiunta alle precedenti ipotesi, una lentezza esasperante, la stessa che ha causato una tardiva e imperfetta garanzia dei diritti civili in materia matrimoniale (le unioni civili).

Alcuni comuni hanno approvato un registro di testamenti biologici e il 7 dicembre la Commissione affari sociali ha adottato un testo base. Ma la Corte costituzionale ha appena dichiaratol’illegittimità costituzionale della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 marzo 2015, n. 4, recante Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (Dat) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti, e della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 10 luglio 2015, n. 16, recante Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (Dat) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)”, richiamando le competenze statali su salute e diritti.

Il testamento biologico servirebbe a mantenere valide le nostre volontà anche in assenza di un’espressione attuale delle stesse, evitando così che possano essere violate se non siamo in grado di difenderle (decido oggi cosa voglio e cosa non voglio per domani, che è poi è lo stesso principio alla base di ogni consenso a un intervento che richieda l’anestesia, cioè la mancanza temporanea di coscienza; la differenza è temporale e non dovrebbe diventare una scusa per limitare la nostra autoderminazione).

Ovviamente se vogliamo esprimerle. Se la nostra libertà fosse garantita, potremmo anche decidere di non approfittarne.

Al cospetto di un principio tanto chiaro e ribadito per l’ennesima volta, servirebbe un po’ di iniziativa parlamentare per riaffermare la nostra libertà di vivere e di morire come vogliamo.

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