Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
“Forse tocca a noi spendere i soldi per acquistare barelle e lettighe? – ha spiegato a Repubblica Andrea Manzi, responsabile del Pronto soccorso, uno dei tre colpiti dalla furia demagogica del governatore della Campania Vincenzo De Luca – noi siamo medici e forniamo assistenza e cerchiamo di salvare persone. Esistono altri uffici e dirigenti che dovrebbero provvedere a forniture e acquisti”.
Il caso è quello esploso lo scorso fine settimana, con i famigliari di alcuni pazienti che hanno diffuso su Facebook le foto di un servizio degno di un campo di guerra. Pazienti stesi a terra e curati sul pavimento. Dignità, salute, igiene, umanità a livello zero. Proprio perché mancano barelle in un ospedale da 107 posti letti a fronte dei 300 necessari per un bacino d’utenza potenziale di 600mila persone.
Ricordiamocelo: il punto è questo, cioè la pessima (e spesso criminosa) gestione dei fondi sanitari da parte delle regioni. Basti ricordare, in quello stesso ospedale, l’ex reparto di ortopedia trasformato in spogliatoio per i dipendenti dopo l’allagamento del locale dedicato. Le foto dell’emergenza sono solo la conseguenza delle promesse, delle negligenze, dei ritardi, dei quattrini imboscati.
Per questo pensare di risolverla, o tamponarla alla luce dello scandalo nazionale, rimuovendo chi lavora in prima linea – che avrà senz’altro le proprie responsabilità delle quali dovrà rispondere – è come pensare di estirpare un fenomeno enorme dagli ultimi rami. Ha poco senso: si tratta dell’ennesima distorsione mediatica che confonde cause ed effetti. Se il responsabile del pronto soccorso si chiama Pinco o Panco ma non ha le barelle per gestire i codici verdi, gialli e rossi in attesa di un intervento, poco cambierà. Insieme ai Nas la ministra Beatrice Lorenzin avrebbe dovuto inviare lettighe d’emergenza, attingendo a qualsiasi fondo desiderasse ma dando una risposta di sostanza.
E invece ci rifugiamo dietro alle sospensioni, le rimozioni, le indagini. Giuste, per carità. Sacrosante. Dovranno accertare se il problema è locale o appunto, come pare, dipende da mancate forniture chieste da mesi. Come, d’altronde, nella stragrande maggioranza dei nosocomi italiani. “Una di quelle persone era in arresto cardiaco, ma che dovevamo fare senza letti né barelle, mandarla via? – ha spiegato Andrea De Stefano, il direttore sanitario dell’ospedale, altro sospeso insieme a Felice Avella, responsabile della medicina d’urgenza – i medici hanno preferito fare la defibrillazione sul pavimento, pur di salvarle la vita come è accaduto”.
Non si tratta di difendere nessuno. Perché in uno scenario dantesco come quello, deprimente ancora prima che inaccettabile, ciascuno ha evidentemente la sua quota di responsabilità. Se non ottieni ciò che occorre alla vita dignitosa dell’ospedale in cui lavori e in cui hai ruoli dirigenziali, per esempio, devi lottare per averla. E se non lotti sei complice. Viceversa, lo spiegavamo, è troppo semplice scaricare l’intero peso su chi in fondo quello schifo lo vive quotidianamente, piegandosi agli improperi della politica.
Con questa strategia forse, alla fine, arriverà una decina di barelle e qualche sedia a rotelle. Ma non avremo risolto nulla. Avremo forse colmato, per qualche tempo, la sete di sangue di un’opinione pubblica sempre più violenta e stressata. Nulla di più.
The post Ospedale di Nola, se i Nas arrivano prima delle barelle d’urgenza appeared first on Wired.