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Procediamo con ordine. Due giorni fa Trenitalia ha lanciato le nuove formule d’abbonamento per le tessere mensili in vigore da febbraio. Sono quattro tipi e si differenziano per fasce e giorni. Ce ne sono due validi tutti i giorni con due scelte: tutta la giornata o nella fascia 9-17. Altri due validi solo dal lunedì al venerdì anche in questo caso in tutte le fasce o dalle 9 alle 17. Orari, lo si capisce, che sfiorano – facendo infuriare in particolare i pendolari della Torino-Milano – le necessità d’ufficio. Ma non le coprono: è complesso, infatti, che si possa partire alle 9 da Torino o Bologna per arrivare a Milano. Così come difficilmente si chiude la giornata in tempo per saltare su un convoglio entro le 5 del pomeriggio.
Come se non bastasse – ma questa era una novità già in vigore da tempo – è obbligatorio prenotare il proprio posto entro la partenza. Prima gli abbonati potevano piazzarsi dove trovavano, rendendo l’uso dell’alta velocità in effetti molti simile a quella che la narrazione racconta come “la metropolitana d’Italia”. Peccato che anche una tratta da 45 minuti diventi un salasso e se non si prenota si viene multati di 10 euro.
Per rimanere alla Torino-Milano da febbraio si passerà da 340 euro a 459 euro per la tipologia libera e 7 giorni e a 408 per quella su 5 giorni. Mentre nel caso della fascia oraria 9-17 su 7 giorni si scende a 323 euro, 289 se su 5 giorni. Peccato che quella fascia sia appunto una presa in giro: sarebbe bastato allargarla dalle 8 alle 18 per accontentare un numero più ampio di persone che, per tenersi il posto di lavoro, sono costrette a fare la spola fra il capoluogo piemontese e quello lombardo – o fra Bologna e Milano, o fra Roma e Napoli e così via.
Insomma, nel caso torinese l’aumento è del 35% e seguono rincari del giugno 2015 che appunto avevano toccato i 340 euro dai 295 iniziali. Questa gente è presa per il collo e non sa come sganciarsi. Stessa musica per la Milano-Bologna: dai 417 euro dell’orario libero su 7 giorni si sale a 563 (500 su 5 giorni). Il Bologna-Firenze salirà da 224 a 302 euro su 7 giorni e a 269 su 5. Roma-Napoli da 356 a 481 su 7 giorni e 427 su 5. Ancora sulla Napoli-Salerno, sulla Venezia-Verona, Sulla Venezia-Milano e sulla Verona-Milano.
Le alternative? Quando ci sono i treni regionali veloci – con i quali, però, si accetta in sostanza di trasferirsi a vivere nei vagoni visti i disservizi e i biblici tempi di percorrenza – altrimenti è impensabile lanciarsi in autobus quando si hanno degli orari precisi da rispettare. E una vita a casa da tutelare.
Parliamoci chiaro: questo, come molti altri casi, è un problema di contratti di servizio e di concessione. Sia per Italo che per Trenitalia le amministrazioni competenti, dalle regioni al ministero, dovrebbero prevedere un contingentamento di posti riservati agli abbonati, ad esempio dietro presentazione del contratto di lavoro in un comune diverso da quello di residenza, per evitare furbi e furbetti. Esattamente come funziona per la continuità territoriale per i voli aerei o i traghetti nelle isole, il pendolarismo – in un Paese piccolo come l’Italia eppure tanto mal collegato – dovrebbe essere un’opportunità da proteggere. Non un problema da ostacolare perché non conviene.
Le soluzioni potrebbero essere molte. Si potrebbe per esempio passare per un programma di incentivi alle aziende affinché coprano parte dei costi ferroviari e in generale del trasporto pubblico. Un programma che si potrebbe estendere anche a chi non è pendolare ma preferirebbe servirsi di bus e metro nelle grandi città congestionate. Ma il punto di partenza non cambia: un trattamento dignitoso ed economico dei pendolari dovrebbe costituire uno degli elementi di valutazione del servizio offerto dalle aziende sulla rete nazionale. Se non li vuoi a bordo – o fissi delle tariffe capestro sostanzialmente impossibili da accettare – non circoli. Fine della corsa.
In effetti da Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte, a Raffaele Donini, assessore regionale ai trasporti dell’Emilia-Romagna, qualcosa si sta muovendo. Entrambi, oltre ad altri esponenti politici, contestano incrementi e mancata consultazione. E a Torino la sindaca Chiara Appendino sta pensando alla Aw Rail di Giuseppe Arena.
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