venerdì, Marzo 14, 2025

5 startup che puntano sul neuromarketing

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Attenzione, ci osservano. Niente paura, non siamo finiti all’improvviso in 1984 di Orwell. Parliamo di aziende che osservano il nostro comportamento di consumatori, la nostra attenzione ai prodotti. Quella che possiamo esprimere con il movimento degli occhi, dei muscoli facciali, con la sudorazione. Ogni piccolo gesto denota qualcosa: attenzione, disattenzione, gradimento. La materia che studia queste reazioni per capire il gradimento di prodotti si chiama neuromarketing, ed è la nuova frontiera di una serie di startup che sono nate per aiutare le aziende a capire i nostri comportamenti. Sembrano lontane le “vecchie” analisi di mercato. Oggi si fanno ancora i focus group e i test con dei volontari ma, al posto delle domande, ci sono strumenti sofisticatissimi.

Thimus

Thimus è una startup nata a Brescia che ora ha sede a Bolzano. Si occupa di neuroscienze prima che di neuromarketing: studia i meccanismi neuronali che influenzano la scelta del consumatore e li ottimizza in ambito commerciale, ma non solo (li applica all’efficienza produttiva, al design, all’architettura).

“Lavoriamo su una serie di strumenti che ci permettono di monitorare le attivazioni degli utenti in relazione ad un prodotto, un contesto, o qualsiasi esperienza” ci spiega Andrea Bariselli, co-fondatore.

“I parametri analizzati sono di caratteri differenti: alcuni sono prettamente biologici, come la microsudorazione (Galvanic Skin Response), le frequenze cardiache, la respirazione; altri sono legati ai movimenti oculari, l’eye-tracking, intesa come la capacità di monitorare saccadi e fissazioni e la dilatazione o i restringimenti della pupilla”.

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“Il nostro strumento principe rimane comunque l’elettroencefalogramma” continua Bariselli. “Quello da noi utilizzato è uno strumento graduato medico a tutti gli effetti, che è usato per studiare le reazioni degli utenti invece che per fini diagnostici”. Ma come si studiano gli altri parametri? “Per esempio, per la sudorazione ci sono due elettrodi sulle dita delle mani che misurano la trasmissione di elettricità” ci spiega Bariselli. “Questo ci indica la “quantità” di attivazione emotiva di un soggetto”. È un po’ lo stesso principio delle macchine della verità che si vedono nei film. Quanto all’eye-tracking, si usano sia occhiali che fotocamere integrate a infrarossi che riflettono la retina e riescono a vedere i micromovimenti oculari.

ShelfZone-inVRsionPunta sull’eye-tracking anche inVRsion, startup di Milano. Il suo prodotto si chiama ShelfZone e consiste in un simulatore in realtà virtuale del negozio e dell’esperienza della spesa. Di fronte agli scaffali di un negozio ricostruiti minuziosamente si possono osservare le reazioni dei consumatori studiando i loro occhi.  “Abbiamo chiesto a un’azienda leader tedesca di sviluppare un eye-tracker per il casco Htc Vive” ci spiega il fondatore Matteo Esposito. “Con questo dispositivo, integrato nel casco, possiamo vedere la direzione dello sguardo, che era già calcolabile grazie allo spostamento del casco, ma con una precisione millimetrica possiamo andare a vedere dove va la pupilla”. Presto l’eye-tracking sarà combinato con lo studio dei segnali passivi che ci possono dire qualcosa sulle intenzioni dell’utente, senza fargli domande dirette.

screencapture-neuralyalive-qwince-1489396307503Nel campo del neuromarketing opera Neuralya, una piattaforma di Qwince, società nata nel 2007 nell’incubatore di impresa ARCA dell’Università di Palermo, che oggi opera anche a Londra. Neuralya lavora sfruttando contemporaneamente una grande quantità di segnali e riesce a rappresentarli con grande semplicità. È  nata a fine 2014: colleziona segnali biometrici e applica principi di neuroscienze e analisi comportamentale. “Integriamo fino a quattro diversi segnali per determinare una serie di metriche orientate al marketing” ci spiega Gianmarco Troia, fondatore. “C’è il riconoscimento facciale, che individua dei punti chiave fissi nell’ovale del volto e, seguendone il movimento, riesce a determinare dei movimenti facciali. C’è l’eye-tracker, un sistema che aggancia la posizione della pupilla e permette di capire dove stiamo guardando. C’è l’encefalogramma, con un caschetto che legge l’attività cerebrale nella sezione frontale del cervello. Infine c’è un braccialetto, che nasce per l’analisi degli attacchi epilettici, e rileva i livelli di stress o di eccitazione sfruttando l’attività elettrica della pelle. Noi collezioniamo questi segnali e comprendiamo cosa attira l’attenzione e quali sono alcune ricadute emotive”.

Se è vero che gli smartphone sono ormai la nostra estensione, monitorarli significa studiare il nostro comportamento. È quello che fa Mapendo, startup nata a Bologna. “Il nostro è un lavoro di analisi sugli interessi delle persone, fatto su dati statistici” ci spiega Lorenzo Viscanti, il fondatore. “Raccogliendo dati riusciamo a capire se una persona che sta a Milano a Porta Venezia e usa un cellulare Lg e sta giocando a Sudoku probabilmente nelle prossime 24 ore ordinerà una pizza tramite il proprio cellulare. È un risultato che si ottiene facendo analisi statistiche di milioni di persone ogni giorno”. È qualcosa che rispetta la privacy: non vengono resi noti nome e cognome delle persone. “Gli algoritmi costruiscono profili che stabiliscono il comportamento più probabile di questa persona. Noi stiamo raccogliendo dati da due anni e mezzo e li analizziamo grazie a una piattaforma creata da noi, che ci suggerisce correlazioni utili: un buon profilo per ordinare una pizza a casa, può essere anche un profilo per ordinare del sushi, o anche rispondere a una promozione sugli occhiali”.

Mapendo, come inVRsion, Thimus e Neuralya, lavora soprattutto con grandi clienti esteri. Viene invece dall’estero, Brno, Repubblica Ceca, e opera anche in Italia l’ultima startup che si sta facendo largo in questo campo. Si chiama Smartlook e registra i comportamenti degli utenti che navigano su un sito web, e in questo modo controlla tutti i movimenti degli utenti sul sito. Grazie a Smartlook è possibile vedere dove gli utenti hanno cliccato con il mouse, quello che hanno scritto nei moduli, dove trascorrono il loro tempo e come esplorano ogni pagina. In questo modo è possibile capire se ci sono problemi di esperienza dell’utente, o perché un visitatore abbandona il sito. O anche comprendere cosa ha convinto un cliente a fare un acquisto. È uno strumento fondamentale per capire come migliorare il proprio sito web. Sì, ci osservano. Ma osservarci oggi è davvero utile.

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