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Negli Usa ci sono fior fior di articoli e analisi dei costi e delle conseguenze di politiche che favoriscono le industrie storiche e potenti – in genere lattiero casearie e allevamenti – avvantaggiando una commercializzazione a basso costo dei loro prodotti, e dunque una diffusione massiccia del consumo. Da noi invece è molto più difficile trovare dati sul danno che queste politiche portano, sebbene siano indirizzate nello stesso verso. Anche senza dati specifici, tuttavia, tutti oggi sanno che carne e derivati animali sono alimenti da limitare, specie quando lavorati, e che molti prodotti di questo tipo – per esempio gelati o salsicce – devono essere molto limitati. Invece, grazie alle nostre tasse, questi prodotti costano pochissimo, a scapito di altri – verdura, frutta e legumi – di cui si potrebbe abusare, e che invece costano molto.
Sarà anche per questo che da noi ci sono i bambini più grassi d’Europa? Un bambino sovrappeso ha più possibilità di diventare un adulto sovrappeso, e dunque di sviluppare malattie anche mortali come cancro, diabete e problemi cardiovascolari.
La contraddizione delle sovvenzioni pubbliche agli allevamenti è anche un problema europeo: “L’Ue ha un approccio simile, e dà aiuti ad allevamenti e agricoltura dei mangimi – mi spiega Lucilla Titta, ricercatrice dello Ieo e nutrizionista a capo del progetto Smart Food -. Carne e latte restano gli alimenti favoriti dai governi, perché altrimenti sarebbero molto più costosi per il consumatore, sia dal punto di vista economico che ambientale (come noto gli allevamenti sono tra le principali fonti di emissioni inquinanti responsabili dei cambiamenti climatici).
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Il consumatore insomma non paga il costo reale, che è sostenuto invece dal governo”. Insomma, senza sovvenzioni queste industrie non avrebbero le atuali dimensioni, e l’attuale impatto.
“Gli aiuti sono finanziari, ma non solo. Basti ricordare gli spot a favore del consumo di latte: quello finanziato dal ministero delle politiche agricole – con testimonial Calabrese, Parodi e Cracco – era una vera campagna di marketing con soldi pubblici e rimossa solo dopo le grandi proteste che suscitò. Oggi sappiamo che il latte non fa male se preso nei limiti delle raccomandazioni, ma non è certo un alimento di cui non si può fare a meno. I prodotti animali, concentrando nutrienti, avevano senso nel dopoguerra e in caso di malnutrizione, ma oggi, da noi, sono invece un fattore di rischio e l’industria procede in una direzione diversa dalle nuove esigenza della popolazione”. Il senso è: se ti piace bere un bicchiere di latte al giorno ok, se non ti piace non c’è problema. Se poi consideriamo alimenti a base di latte ma molto zuccherosi come gelati e yogurt – o molto salati e grassi come i formaggi stagionati – allora la situazione peggiora ulteriormente.
Ma, dati i posti di lavoro che il settore comprende, come si può risolvere la contraddizione di uno stato che di fatto finanzia l’obesità e le malattie correlate? Le politiche governative dovrebbero oggi incentivare le conversioni di queste industrie, per favorire un passaggio graduale dei consumi e delle produzioni a vie più virtuose. “Invece siamo indietro sulla comunicazione e sulle politiche. Le linee guida per la ristorazione scolastica – ad esempio – sono obsolete rispetto alle raccomandazioni internazionali per una sana alimentazione, ma non vengono modificate anche per non creare scontro con una popolazione mediamente poco informata su cosa faccia o non faccia bene: oggi ancora i bambini a scuola mangiano troppa carne, pochi legumi, poca fibra e addirittura ancora alimenti sconsigliati dalle politiche sanitarie internazionali come gelati e salumi“.
A questo, si aggiungano situazioni a dir poco spiacevoli come il fatto che Andrea Ghiselli il responsabile di queste linee guida ministeriali per il Crea-Nut, sia stato oggetto di un’interrogazione parlamentare per conflitto di interessi, avendo ricorperto incarichi di consulenza anche per l’industria alimentare.
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