È il film filippino Mercury Is Mine di Jason Paul Laxamana ad aprire il programma della seconda giornata del Far East Film Festival 2017, una commedia che si struttura intorno ad una donna proprietaria di una locanda di campagna in via di chiusura ed un giovane americano che una sera giunge alla sua porta chiedendo ospitalità e finendo per rimanervi come collaboratore. L’arrivo del giovane fa andare gli affari a gonfie vele, scatenando la curiosità dei turisti di fronte ad una così stramba coppia. Il ragazzo però ha un passato pesante e anche la donna nasconde qualche cosa, ma il rapporto tra i due che inizia come una collaborazione di lavoro scivola dapprima in quello mamma e figlio e poi, molto larvatamente, in qualcosa di più torbido. Film che usa una sorta di ossessione che attanaglia i filippini e il loro rapporto con i bianchi per tenersi in piedi, Mercury Is Mine ha momenti divertenti e non accampa grandi pretese con le sue continue citazioni a Laguna Blu.
At the Terrace del giapponese Kenji Yamauchi è una piacevolissima sorpresa: vera e propria pièce teatrale trasposta sullo schermo, ci mostra una serata su una bellissima terrazza nella quale alcuni personaggi entrano ed escono dalla scena come se si fosse a teatro. Struttura a parte, il film è un concentrato dei vizi (tantissimi) della società giapponese tra invidie, formalismo, ipocrisia, perbenismo, ritualità e segreti tenuti nascosti che pian piano si sveleranno. I dialoghi ben curati e le interpretazioni valide fanno del film un ironico squarcio sul velo che ricopre di puritanesimo e di convenzioni l’universo giapponese. Il finale esplosivo, con un paio di trovate, chiude un lavoro che ha il suo indubbio valore.
The City of Betrayal di Daisuke Miura è il racconto di un incontro tra un giovane e una casalinga annoiata attraverso una chat per cuori solitari; entrambi sono sentimentalmente impegnati, ma evidentemente qualcosa nei loro rapporti non funziona, sebbene siano loro i primi a riconoscere che i rispettivi partner sono persone degne e meritevoli di rispetto. Man mano che la storia va avanti le cose si complicano, vuoi per le implicazioni vuoi perché qualche velo si squarcia mostrando una realtà forse diversa. Se la maniera in cui il regista aveva intenzione di affrontare l’argomento era sicuramente valida, il racconto si appesantisce troppo spesso sotto i colpi di dialoghi fin troppo controllati, col risultato che sovente il film dà l’impressione di trascinarsi fino a giungere ad alcune conclusioni, venate di un certo sarcasmo, che sembrano voler mettere tutti d’accordo.
Godspeed del taiwanese Chung Mong-hong racconta la storia di una strana coppia formata da un tassista e da un corriere della droga che deve compiere una consegna lontano da Taipei. Dietro a questo nucleo narrativo centrale che dà l’impronta sui generis da road movie c’è però anche il thriller-noir ambientato tra le bande di trafficanti di droga. La contaminazione dei generi di certo giova al film, che si fa apprezzare quasi esclusivamente per l’atmosfera che si crea, oltre alla prova crepuscolare – perfettamente in linea con la pellicola – del grande Michael Hui, nonostante la sceneggiatura mostri qualche momento piuttosto zoppicante.
Satoshi: A Move for Tomorrow è la storia di Murayama, un genio dello shogi, una versione giapponese degli scacchi. Il giovane ha la sua tecnica particolare di gioco che rispecchia in pieno la sua personalità anticonformista, inoltre sin da bambino soffre di una grave malattia ai reni che col passare degli anni diventa sempre più pesante. Pur cosciente che il suo stato di salute stia volgendo al peggio, Murayama decide di impegnare tutto se stesso per raggiungere i più alti livelli del gioco che, ben presto, diventa per lui una personalissima lettura dell’esistenza. Non conoscere lo shogi non agevola certo la visione e inoltre una certa ripetitività di scene e situazioni appesantisce il racconto, ma nel film c’è una bella dose apprezzabile di sincerità nel tentativo di dipingere un personaggio dalle molte facce. Prova maiuscola di un imbolsito per la bisogna Ken’ichi Matsuyama.
The Prison di Na Hyun è il primo film coreano del FEFF. Thriller d’azione interamente ambientato in un carcere attraverso il quale il regista offre la sua lettura sulla forza del potere e sui comportamenti umani dettati dall’istinto di sopravvivenza. Il film si fa apprezzare per il suo senso di claustrofobia incombente, per la descrizione di un ambiente dove fare delle scelte sbagliate può costare la vita, per qualche scena d’azione ben fatta e per una serie di personaggi tipicamente di genere.
Per domani, domenica, ovviamente previsto il gran pienone anche grazie al sino-indiano Kung Fu Yoga con Jackie Chan, indiscusso portabandiera del cinema popolare.
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