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Tra tutti i generi, l’horror nel tempo si è scavato una nicchia di ferro nel mondo dell’argomentazione politica. Fin dai suoi primi film ha riflettuto le ansie sociali, le paure di massa mettendole in metafora, creando mostri di fantasia che rispondevano a fobie molto concrete. Poi nel Dopoguerra ha innestato un’altra marcia e cominciato a usare sentimenti come repulsione, terrore o raccapriccio per mandare veri e propri messaggi, per condannare qualcuno, mettere in guardia contro qualcosa o rappresentare una situazione realmente terribile.
È arrivato questa settimana nelle nostre sale Get Out, film che a fronte di un budget minuscolo ha incassato più di 170 milioni di dollari in tutto il mondo raccontando una storia inventata che ha a che vedere con il controllo mentale e un ragazzo (nero) che si reca a trovare i parenti della sua fidanzata (bianchi) temendo di trovarsi in difficoltà ma trovando davvero l’ultima cosa che ci si potrebbe attendere.
C’è tutta la nuova situazione razziale americana nel film, quella del dopo Obama, ma per molti versi anche molto di quello che possiamo vivere noi che, quanto a integrazione razziale, siamo in una fase più embrionale.
Siccome l’horror che mette in scena alcune delle più irrisolte questioni politiche ha ormai una tradizione di tutto rispetto, abbiamo messo in fila i 10 più efficaci, spaventosi e arrabbiati della storia del cinema.
10. La notte del giudizio
I ricchi vogliono eliminare i poveri e farla franca.
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Non è molto sottile il sottotesto di La notte del giudizio, va dritto al punto e non ha bisogno di troppe metafore. In America lo stato, influenzato dalla dottrina dei “Nuovi padri fondatori”, ha indetto la notte della purga, in cui tutti i crimini sono depenalizzati, si può cioè uccidere e rubare impuniti. Chi è ricco si compra le protezioni e i bunker per non correre rischi, chi è povero invece è massacrato, scappa, si rifugia.
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9. Teeth
La cosa migliore di quest’horror è il suo essere così autoironico, divertito ed eccessivo, così fiero del proprio statuto di B movie consapevole da non avere gravose aspirazioni. Una ragazza scopre di avere la vagina dentata e dopo le prime terribili esperienze diventerà una specie di vendicatrice dell’abuso contro le donne. Non solo c’è in questo film la più diretta accusa alla maniera in cui il corpo femminile è abusato dagli uomini, c’è anche una più sottile maniera di sottolineare l’impotenza del genere trasformandolo in potente proprio là dove ha origine tutto.
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8. The Host
Nella storia di questo mostro terribile che all’improvviso semina il panico nella Corea Del Sud, c’è tutto il senso di impotenza coreano e di sudditanza verso la potenza americana. Bong Joon Ho è regista raffinatissimo e nei decenni ha visto cambiare radicalmente il proprio paese, influenzato dall’egemonia culturale statunitense. Qui il mostro sembra essere combattuto solo dagli americani e il governo sudcoreano è impotente se non proprio succube delle decisioni americane. In un genere e in una storia tipiche hollywoodiani sembra che i coreani siano incapaci di essere protagonisti.
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7. Godzilla Resurgence
Già Godzilla, il primo, era il simbolo del terrore nipponico per le radiazioni e gli effetti a lungo termine delle bombe nucleari subite. Questa sua versione recentissima di Hideaki Anno (l’autore di Evangelion) è un trionfo di stanze del potere. Quasi tutto il film si svolge nell’ufficio del primo ministro e racconta come, di fronte all’invasione di Godzilla, il paese risponda con un misto di dipendenza dall’estero e terrore nell’agire. C’è un senso di impotenza fortissimo e un empasse che hanno a che vedere con la cultura nipponica e ciò che i giapponesi stessi meno apprezzano di sé.
A fronte di tutto questo Godzilla Resurgence è un film stupendo, denso anche del suo opposto, cioè di uno spirito combattivo nipponico esaltante.
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6. Hostel
Dopo l’11 Settembre l’America per la prima volta ha cominciato ad avere davvero paura degli stranieri. Ma non solo. Con la politica Bush jr. tutto il resto del mondo ha cominciato ad avere in antipatia gli Stati Uniti e questo, per la prima volta, era percepito con forza da quella parte dei cittadini che viaggiavano. La storia di questi ragazzi che, finiti nell’Est Europa in vacanza, vengono ingannati e, letteralmente, massacrati con un eccesso di violenza e dettaglio da gore è proprio la messa in fiction di queste due paure vere: quella dello straniero e quella di essere odiati.
I turisti americani di Hostel sono fatti a pezzi (non metaforicamente) senza motivo, non hanno fatto nulla. Sono solo americani.
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5. The Mist
Fuori c’è una minaccia, c’è una nebbia dentro cui si annida “qualcosa”, fuori si muore e dobbiamo rimanere chiusi dentro, nel centro commerciale. Già la scelta del luogo, il tempio dei consumi, ha un grande senso ma poi quel che accade ai malcapitati che devono convivere e prendere decisioni dalle quali dipendono le loro vite è ancora più cruciale. In questo film tratto da Stephen King le persone vivono delle medesime spinte e influenze della società, sono spaventate e ragionano solo in base alla paura e all’istinto di conservazione. C’è un’invasata religiosa che contamina lentamente tutti, ci sono i più deboli che finiscono per diventare vittime senza aver fatto nulla, c’è subito un mettersi in fazioni e una generale aria da convincimento delle masse che davvero rispecchia quel che accade nelle società moderne.
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4. Non aprite quella porta
Negli anni in cui i ragazzi andavano a morire in Vietnam, in cui solo i più ricchi scampavano la leva con raccomandazioni o trucchi mentre i più poveri e marginali erano o convinti a partire o invasati di patriottismo o incapaci di scampare il reclutamento, Tobe Hooper mette dei ragazzi belli, bianchi, liberi e abbienti in viaggio per un concerto contro una famiglia che rappresenta il peggio del peggio.
Sporchi, violenti, meschini, sanguinari e bruttissimi i villain di Non aprite quella porta sono la parte dimenticata dell’America, risiedono nelle zone selvagge e brulle, posti da cui è impossibile farsi sentire e dove non arriva niente, nemmeno la legge. Sono il cuore rimosso di un paese che rappresenta solo la parte più bella e solare di sé usando il resto della popolazione come carne da macello. Qui la carne da macello si ribella e massacra i belli.
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3. Essi vivono
Il nostro mondo non è quello che sembra, il protagonista lo scopre calzando degli occhiali da sole che gli svelano la verità. Con questi vede che i cartelloni pubblicitari in realtà recano solo una grande scritta “compra” oppure “obbedisci”, i soldi hanno scritto sopra “spendi”, la televisione è tutta un messaggione subliminale e alcuni esseri umani in realtà sono alieni. Siamo stati conquistati e non lo sappiamo, gli alieni sono tra noi e ci tengono buoni con messaggi subliminali.
Non prende un giro troppo largo Carpenter per mette in scena l’oppressione del sistema capitalistico americano, il condizionamento dei media, la violenza della propaganda pubblicitaria. La metafora è proprio diretta ma le immagini dei cartelloni con scritto “obbedisci” colpiscono nel segno.
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2. L’alba dei morti viventi
Di nuovo il centro commerciale. In questo film uscito in Italia come Zombi in una versione a cui ha contribuito anche Dario Argento, i morti viventi stanno invadendo gli Stati Uniti e in particolare seguiamo alcune persone arroccate dentro un centro commerciale. C’è qui un’immagine che vale una carriera, una di quelle che, una volta vista, cambia la maniera in cui viviamo la nostra vita. Gli zombie ripetono stancamente quel che facevano in vita, e, entrati nel centro commerciale, si strusciano davanti ai negozi con il loro andamento senza vita. Sono morti ma sembrano guardare le vetrine e abitare quel centro commerciale come quando erano vivi. I morti viventi siamo noi e quel che ci ha ucciso è il sistema capitalista.
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1. L’invasione degli ultracorpi
Il re degli horror politici. Negli anni ‘50 metteva in guardia gli americani dal fatto che c’era “qualcuno” che voleva invaderli e rendere tutti uguali, annullare le differenze. Qualcuno che era già tra di loro… La paura dei comunisti era diventata un fatto concreto e il senatore McCarthy affilava le armi della sua caccia alle streghe. Don Siegel gira questa storia poi ripresa da diversi altri remake del film che si sono succeduti nei decenni, ognuno con una prospettiva e un sottotesto politico suo. Una storia sempre uguale che prende vesti e opinioni diversi a seconda di chi la gira, come la gira, dove la ambienta e come la contestualizza.
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