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Credevo che Richard Benson non sarebbe mai morto. Anche se la sua apparenza faceva pensare il contrario, ormai da anni. Era l’ultimo della sua razza e un esponente di una categoria nella quale esisteva solo lui.
Chiunque sia entrato in contatto con lui negli anni ‘80 e ‘90, nella sua fase di personaggio da tv regionale, ne ha rispetto e stima. E c’era da averne! È complicato spiegarlo a chi non c’era in quegli anni e lo ha conosciuto dopo, quando l’esplosione di fama dovuta ad internet l’ha reso personaggio nazionale, enfatizzandone l’aspetto clownesco. Aveva circa 50 anni quando la sua vita è cambiata per la quarta volta grazie al peer to peer e gli audio dei suoi spettacoli scambiati su eMule e poi anni dopo caricati su YouTube. Da lì in poi, negli ultimi 20 anni, è stata una picchiata senza fine. Più cresceva la fama più perdeva quello che un tempo l’aveva reso un re della musica, tremendamente locale ma come si ripete allo sfinimento oggi, così locale da essere globale. Di certo Benson è un personaggio impensabile adesso, pura mitologia romana e aspirazione mondiale, una delle ultime persone pubbliche delle quali il poco che si sa è tramandato a livello popolare e quindi ampiamente distorto, mentre le sparute certezze vengono dalla più in affidabile delle fonti: Benson stesso. Per ognuna delle informazioni di questo articolo cercheremo di riportare fonti e quoziente di affidabilità . Ma non aspettatevi troppo.
Quella di Benson, in soldoni è la storia di un uomo che è sempre stato migliore del proprio pubblico ma che inevitabilmente ad esso era soggetto, da esso era dipendente e quello doveva servire, fino al più romantico ridicolo. Sarà ricordato come fenomeno trash ma era molto di più, anche se in pochi lo sanno. È stato relitto di più ere sovrapposte: in sé aveva il rock degli anni ‘60, il glam degli anni ‘70, l’esplosione delle tv commerciali degli anni ‘80, il trash degli anni ‘90, il peso della fama online degli anni 2000 e poi l’autoproduzione degli anni ‘10. Nessuno come lui ha vissuto l’evoluzione della cultura di massa, cavalcandola dalle reti regionali. Ha parlato di musica tutta la sua vita e anche scritto ma era con le azioni e con un’etica autodistruttiva del rock di cui sembrava un impiegato (obbligato a seguirla e timbrare il cartellino della rovina), che raccontava effettivamente cosa fossero stati quegli anni e soprattutto quella cultura. Aveva un atteggiamento machista come tutti gli uomini della sua generazione ma componeva versi anche al volo di eccezionale pregnanza, aveva un immaginario fantasy da progressive rock e poi faceva spettacoli con pornodive quando queste erano star, negli anni ‘80 e ‘90. Una delle poche personalità italiane da definire larger than life.