domenica, Gennaio 5, 2025

Interrail, il viaggio più lento e più green: studenti e famiglie rilanciano i giochi senza frontiere

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Quanto pesa lo zaino. Quante paia di mutande e calzini. Quanti ostelli prenotare in anticipo. Forse nessuno? Però poi rischi di passare quattro ore in giro per Madrid cercando un buco in cui dormire. La saponetta e il caricabatteria, mi raccomando! La disponibilità a mangiare quello che capita, quando capita, e più in generale agli imprevisti. Una certa fiducia nel tempo – in un tempo lento – e negli sconosciuti. La monumentale quantità di diari di viaggio reperibili in Rete consente di ripercorre il mezzo secolo compiuto dall’Interrail come un’educazione sentimental-ferroviaria di massa. Che tiene insieme chi aveva vent’anni cinquant’anni fa e chi è appena tornato. E dispensa consigli pratici sul budget, sulle scarpe comode, sul fare l’amore, sul couch-surfing, il passaggio dai divani altrui che il Covid ha reso più impervio.
Ma l’Interrail resiste: il passaggio di secolo, con l’esplosione dei voli low cost l’aveva fiaccato; e già nell’estate del ’92 sembrava che stesse finendo un’epoca. La leggendaria tessera per giovani europei rischiò di essere cancellata: “Pomo della discordia – si leggeva allora sui giornali – la ripartizione degli introiti” fra venticinque società ferroviarie. E invece è sopravvissuta, e lo slancio ambientalista l’ha – bisogna dire proprio così – rinverdita.

Il convoglio a minore impatto ambientale

Nella sua Storia meravigliosa dei viaggi in treno (Utet), il giornalista svedese Per J. Andersson registra come “il dibattito sull’impatto ambientale degli spostamenti in aereo” abbia riportato il treno al centro dell’immaginario sul viaggio. E così anche a lui è venuta voglia di sperimentare di nuovo, dopo decenni, l’Interrail – mescolando, letteralmente, memoria e desiderio; e si è portato dietro i figli, perché vivessero quella “sensazione di incertezza” felice che è il cuore dell’esperienza Interrail.

Il primo viaggio scontato

Quando nacque, nel 1972, l’Europa aveva un altro volto, e così i treni (compresi i cinematografici notturni) con i vagoni di seconda classe che la percorrevano.
Il successo fu immediato e notevole: in un paesaggio di turbolenza giovanile, era il passaporto (a prezzo modico) per l’avventura generazionale. Il controllo documenti al passaggio di confine (chi c’era ricorda poliziotti di frontiera severi talvolta in modo caricaturale) era il segno di una mappa diversa, di una comunità continentale ancora più ideale che reale.

Il diario ante 1989

Fa quasi tenerezza ritrovare l’intervista ingiallita a una ventenne in partenza poco prima che cadesse il Muro, estate 1989: “Il treno offre incredibili vantaggi dal punto di vista economico: spedire le biciclette ci costa solo 9.100 lire, una volta arrivate a destinazione vengono custodite, nel caso di nostro ritardo, a sole 2000 lire al giorno”. La fine dell’Unione sovietica portò naturalmente a un incremento del numero di Paesi visitabili con il pass ferroviario, che alle origini valeva solo in 21 Paesi e per viaggiatori under 21. Il limite anagrafico è caduto nel 1998, e così anche i tardivi, i nostalgici, i recidivi allargano le file degli appassionati di questo gioco senza frontiere che è l’Interrail. Tutti europeisti? Di sicuro allenati a un’idea di Europa “emozionale”. Pre-politica? In ogni caso determinante per la tenuta di un sentimento europeo, l'”esprit” di cui discutevano filosofi illuminati dopo la seconda guerra mondiale.

“L’Europa uno stato della mente”

“L’Europa è uno stato della mente”, ha detto una volta il regista finlandese Aki Kaurismäki, e non credo che abbia torto – se, come sa qualunque studente di ritorno da un Erasmus l’esplorazione della varietà linguistica e gastronomica (gulash e camembert!) dissolve parecchi confini nella testa. Non basterà certo l’Eurovision (sul profilo Instagram Interrail.eu c’è chi ha raccontato il suo viaggio di otto giorni dall’Olanda verso Torino otto giorni con il Global Pass), non basterà il programma Erasmus, che sta per compiere 35 anni, a fugare le paure del vecchio Milan Kundera.

Un tour che piacerebbe a Kundera

Lo scrittore è appena tornato in libreria con un saggio retrodatato, Un Occidente prigioniero (Adelphi): già quarant’anni fa additava preoccupato la fragilità del sentimento di “appartenenza all’Europa”. Ma se è vero che ad alimentarlo è anche lo stupore per la bellezza, sento che potrebbe perfino festeggiare l’anniversario di questi viaggi lenti, verdi e imprevedibili come piste romanzesche.

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