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Fred Perry è uno di quei marchi con una storia pazzesca, che negli anni ha saputo costruirsi un’identità fortissima in un ambito che non era propriamente il suo. Almeno non all’inizio. Quando una delle leggende del tennis britannico decise di dar vita a un brand di abbigliamento sportivo che si identificava con il simbolo della corona d’alloro. In campo Fred Perry aveva vinto tutto o quasi: tre volte Wimbledon e gli US Open, aveva contribuito a far vincere alla Gran Bretagna l’International Lawn Tennis Challenge (che dal 1945 è diventata la Coppa Davis), la massima competizione mondiale a squadre nazionali del tennis, dal 1933 al 1936. E forse non si aspettava nemmeno che quello stesso successo, tempo dopo, lo avrebbe replicato anche fuori dalla terra rossa. In fondo in principio non era che una polsiera. Poi quella polo in piquet di cotone, dalla silhouette asciutta, e rigorosamente bianca – gli altri colori sono venuti poi così come la doppia riga sui profili del colletto – con la corona ricamata a sinistra sul petto e indossata per primo dallo stesso Fred Perry agli inizi degli anni Cinquanta segna il match point. La indossano sportivi e non, artisti di ogni genere, registi, musicisti. Diventa l’uniforme di chi non accetta uniformi. Negli anni Sessanta diventa un portabandiera, un simbolo di appartenenza delle sottoculture britanniche, Mods in testa. Ne seguiranno altre. E star del rock come Freddie Mercury, Paul Simonon dei Clash, i fratelli Gallagher, Damon Albarn dei Blur, Amy Winehouse.