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Trent’anni dopo Morte di un matematico napoletano, debutto al cinema di Mario Martone da Leone d’argento a Venezia, il regista con Nostalgia è tornato ancora una volta a girare un film nella sua città, Napoli.
Nostalgia – in concorso al festival di Cannes (dove è stato accolto alla proiezione ufficiale con 13 minuti di applausi) e già uscito nelle sale italiane dal 25 maggio – in realtà, non racconta Napoli, semmai un preciso quartiere, il rione Sanità che, nonostante il titolo, non faceva, invece, da sfondo a un altro film di Martone, Il sindaco del rione Sanità che, in quanto adattamento cinematografico dello spettacolo teatrale da Eduardo De Filippo era girato per lo più in interni.
«Mi affascinava l’idea di ambientare un film non in una città ma in un quartiere. In Nostalgia non appaiono strade, case o persone che non siano del Rione Sanità», ha detto il regista. Spiegando di aver chiesto alla troupe di prendersi il tempo per percorrere i vicoli senza paura di perdersi. «Macchina da presa in spalla, abbiamo girato le strade, ripreso angoli, volti, palazzi».
Protagonista del film, tratto dal romanzo di Ermanno Rea (Feltrinelli, 2016), è Pierfrancesco Favino, nella parte di Felice Lasco. L’uomo torna a Napoli dopo quarant’anni vissuti tra Libano, Sud Africa e, infine, Egitto dove ha fondato un’impresa (s’intuisce di successo) e si è sposato. Ha trascorso così tanto tempo fuori dal suo Paese che parla in italiano con uno strano accento, non ricorda parole di uso comune come “spugna” e pare sembrare più a proprio agio solo quando ritrova la parlata dialettale di un tempo.
A farlo tornare è stato il desiderio di rivedere la mamma anziana, forse spinto dalla consapevolezza che non le rimane molto tempo da vivere. Il viaggio, che doveva essere breve, si prolunga in un primo tempo per la necessità di trovare una nuova sistemazione alla madre che, a sua insaputa, è stata costretta a dar via il loro vecchio appartamento e si è trasferita in un monolocale fatiscente al piano terra del palazzo. Quello che Felice non si aspetta, però, è di essere poco alla volta sopraffatto dai ricordi, da un senso di appartenenza così forte («Non è cambiato niente rispetto a quando ero un ragazzo») da non riuscire più ad andarsene.
Quali siano le memorie del passato che si riaffacciano nella sua mente lo vediamo attraverso diversi flashback: lui quindicenne che gironzola sulla moto insieme al suo migliore amico, Oreste Spasiano, interpretato nella versione adulta da Tommaso Ragno. Quello che, invece, non vediamo – tranne un episodio che non possiamo svelare per non spoilerare la storia – è che da adolescenti i due amici avevano cominciato a compiere piccoli crimini e che la partenza forzata di Felice ha tracciato una linea netta che ha separato per sempre i loro destini.
Mentre Felice, anche se a fatica, si è rifatto una vita altrove, Oreste è diventato il boss del quartiere, colui che gestisce la prostituzione e lo spaccio di droga della zona, potente e temuto ma costretto a vivere da solo, guardandosi le spalle. Un criminale spietato e il “nemico numero uno” di don Luigi Rega (interpretato da Francesco Di Leva), parrocco militante ispirato al vero don Antonio Loffredo della Basilica di Santa Maria alla Sanità. «Stai parlando della persona che mette le pistole nelle mani dei ragazzini del quartiere», urla il parrocco in faccia a Felice, dopo aver raccolto la sua confessione (laica perché, in Egitto, si è convertito all’Islam) e la sua dichiarazione di amicizia e lealtà nei confronti del vecchio amico.
«Questa è una storia di amicizia e di amore», ha detto Favino, accolto alla conferenza stampa da un lungo applauso. «Non è stato difficile entrare nel personaggio. Chiunque ricorda il legame con il proprio migliore amico a quell’età. Per Felice, Oreste rappresentava la parte migliore di sé, il ragazzo che avrebbe voluto essere».
Nostalgia è l’ennesimo film italiano ambientato a Napoli, città che, negli ultimissimi tempi, è diventata la nuova capitale del cinema nostrano, tra serie Tv e film a cominciare da La mano di Dio di Paolo Sorrentino.
Qui, però, il Rione Sanità, con i suoi vicoli sopra e le sue catacombe nel sottosuolo (che il protagonista visita in compagnia di una giovanissima archeologa) trascende lo status di luogo fisico e diventa qualcosa in più di una semplice location. Un archetipo, incarnazione di un labirinto mitologico nel quale, come accade al protagonista, si può perdere la strada e se stessi.