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Una terza possibilità, forse aggiuntiva più che alternativa alle altre due, è che il ritardo sia il riflesso di come è cambiato nel tempo il modo in cui il tampone nasale viene eseguito. Nel fai-da-te, infatti, si ritiene che molte persone non raccolgano con particolare cura né in grande profondità il materiale biologico che impregna il tampone, determinando una frequenza più alta dei falsi negativi, a maggiore ragione in un momento come quello iniziale della malattia in cui la carica virale nel naso è più bassa. Infine, una ulteriore considerazione riguarda il cambiamento di tutta la dinamica di circolazione del virus da quando la variante omicron è diventata prevalente: è diminuito il tempo di incubazione, è diminuita la durata media di manifestazione dei sintomi, ed è cambiato quindi più in generale il modo in cui il nuovo coronavirus interagisce con l’essere umano. In qualche modo, questo potrebbe avere avuto un riflesso anche sul tempismo dei tamponi.
Più che le cause, le conseguenze
Anche se molto del dibattito in seno alla comunità scientifica e a livello pubblico si concentra sul perché di questo ritardo, probabilmente a meritare attenzione è soprattutto la questione delle conseguenze che determinerà, in particolare dopo l’estate. Come sappiamo, infatti, già ora le restrizioni e i tracciamenti sono notevolmente ridotti rispetto al passato, a cui si aggiunge il fatto che ci sono persone che non si sottopongono al tampone anche da sintomatiche per timore di risultare positive, altre che svolgono il test in casa senza registrarlo né ripeterlo nelle strutture preposte, altre ancora che – magari sintomatiche – vedendo un primo tampone negativo non si preoccupano di ripeterlo nei giorni successivi. Tutto ciò ha come effetto che la nostra capacità di fotografare la reale circolazione del virus e di impedire il contagio da persona persona è drasticamente diminuita, a maggiore ragione se il tampone positivo che dovrebbe sancire l’inizio del periodo di isolamento arriva quando ormai la gran parte del danno in termini di contagio rischia di essere già stata fatta.
Questa situazione di attuale disordine e scarso rigore, inoltre, è allo stesso tempo anche causa dell’impossibilità di definire contorni precisi per il ritardo diagnostico stesso, sia in termini di numero di giornate medie sia come incidenza e come prevalenza delle diverse varianti. Il che a sua volta impedisce di pianificare strategie alternative o diffondere consigli su come riconoscere in maniera alternativa Covid-19, visto anche che i sintomi si stanno facendo sempre meno specifici e sono confondibili con quelli di altre infezioni virali a carattere respiratorio, se non addirittura con allergie o fastidi da aria condizionata.
La domanda che verrebbe da porsi a questo punto, dunque, è se lo strumento del tampone così come inteso in questo momento sia davvero ancora efficace come attrezzo di diagnosi dell’infezione da Covid-19 e come strategia per limitare la circolazione del virus. Anche se al momento non ci sono particolari preoccupazioni poiché la pressione sulle strutture sanitarie è molto bassa, il problema potrebbe porsi in maniera importante qualora con la stagione fredda si arrivasse a un aumento importante dei casi che richiedono trattamenti ospedalieri. E come abbiamo imparato dalle scorse due estati, abbassare la guardia adesso e disinteressarsi al problema sarebbe una grave mancanza che rischieremmo di pagare con un conto salato.