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«Quando mi allontano in macchina, mi sento come se mi stessi togliendo dalle spalle un pesante mantello o qualcosa del genere», dice. Quando prende la strada del ritorno, sostiene di avvertire il peso del luogo. «Non appena si svolta dopo Santa Barbara, sento che sta arrivando. Le spalle iniziano a diventare un po’ più basse e lo sento. Non so ancora bene cosa sia e come affrontarlo. A parte uscire dalla città e viaggiare molto».
È ovviamente il lavoro a tenerlo spesso ancorato a Los Angeles e i suoi amici mi dicono che il momento in cui è più felice è quando è coinvolto fino al collo in un progetto. Uno stretto confidente, Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers, spiega: «Quando Brad si immerge nel processo creativo, c’è qualcosa di magico. È come se all’interno di un essere umano si accendesse qualcosa che gli dà potere e lo fa schiudere».
In effetti, quello di cui Pitt si sta attualmente occupando è un’attività gratificante in modi nuovi e diversi. Quest’anno la Plan B Entertainment, la sua casa di produzione, farà uscire Donne che parlano, un adattamento del romanzo di Miriam Toews in cui si narra di donne mennonite che si coalizzano contro i loro stupratori, diretto da Sarah Polley.
«È un film profondo come nessun altro realizzato in questo decennio», mi dice Pitt. E c’è anche l’imminente versione cinematografica di Blonde di Joyce Carol Oates, una biografia romanzata della vita interiore di Marilyn Monroe, diretta da Andrew Dominik.
Se a questi si aggiunge una serie di altri romanzi acclamati che Plan B ha adattato o opzionato – La ferrovia sotterranea di Carson Whitehead, Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie, Lo strano caso del cane ucciso a mezzonotte di Mark Haddon – emerge un ritratto di Pitt come una sorta di kingmaker letterario. Eppure, nonostante i nobili ideali quando veste i panni del produttore e di un attore sempre più selettivo, Pitt presta con gioia il suo talento a qualche blockbuster quando il momento è giusto, soprattutto se esiste un legame personale.
Tra questi, Bullet Train che uscirà quest’estate, diretto da David Leitch, il cui rapporto con Pitt risale a Fight Club del 1999, nel periodo in cui il regista faceva da controfigura alla star, ruolo che Leitch ha rivestito in diversi film, tra cui Troy e Mr & Mrs Smith.
Il loro rapporto cinematografico ha preso una nuova direzione, davvero notevole, quando i due hanno iniziato a parlare di Bullet Train, ma Leitch afferma che la loro collaborazione è stata come sempre naturale. «Nelle conversazioni che ho avuto con Brad, l’obiettivo numero uno è stato quello di fare un film divertente e di evasione, fresco e originale, che faccia venire voglia alla gente di tornare in sala», precisa.
Bullet Train sarà anche un piacevole blockbuster estivo, ma è stato girato in parte in un teatro di posa a Los Angeles nel bel mezzo della pandemia. “La situazione era pesante fuori dai cancelli degli studios”, ricorda la star Brian Tyree Henry. “Quello che ricordo di più sono le risate. Quella di Brad è davvero contagiosa. Lui porta sul set una sorta di leggerezza in cui non c’è nulla di sforzato. Sembra di assistere a una lezione magistrale di disinvoltura”.
Nel film, Pitt interpreta Ladybug, un assassino prezzolato a bordo del treno Tokyo- Kyoto che si è appena ripreso da un esaurimento nervoso e torna alla sua professione ad alto rischio con una fiducia un po’ fuorviante sulla propria idoneità a riprendere servizio. “Sai, fai un mese di terapia”, dice Pitt a proposito del suo personaggio, “hai un’epifania, pensi di aver capito tutto e che non sarai mai più smarrito. Questo è quanto. Ho capito, sono pronto a ripartire!”. Il personaggio è un tipo familiare per Pitt, simpatico, imperfetto, un po’ eccentrico, e interpreta la parte con fascino disinvolto a cui aggiunge un umorismo autoironico che evoca alcuni dei suoi altri ruoli recenti, come Cliff Booth in C’era una volta… a Hollywood. Per Quentin Tarantino, che ha diretto Pitt in quel ruolo e in Bastardi senza gloria, la trasformazione di Pitt come attore è la prova di un tipo di presenza sullo schermo che non si vede più tanto spesso. “Fa pensare a una star del cinema vecchio stile”, mi dice Tarantino al telefono. “È davvero bello. Ma la cosa che solo i registi impegnati sul set con Brad e gli attori che recitano al suo fianco sanno veramente, e in cui lui ha un talento incredibile, è la sua capacità di capire veramente la scena. Magari non è in grado di articolarla, ma ha una comprensione istintiva”. Secondo Tarantino, Pitt emana una rara sensazione di atemporalità. “È uno degli ultimi divi del grande schermo rimasti”, mi dice il regista, equiparando il suo modo di essere una star a quello di Paul Newman, Robert Redford e Steve McQueen. “È solo una razza diversa di uomo. Sinceramente non credo che si possa descrivere con esattezza chi sia, perché è come descrivere la luce delle stelle. L’ho notato durante le riprese di Bastardi senza gloria. Quando Brad era nell’inquadratura, non mi sembrava di guardare attraverso il mirino della macchina da presa. Avevo l’impressione di vedere un film. Solo la sua presenza tra i quattro lati dell’inquadratura creava quella sensazione”.
La storia dei suoi inizi a Hollywood è nota: arrivò in città con la sua Datsun, dopo aver lasciato l’Università del Missouri a due esami dalla laurea. Studiava giornalismo, sperando di diventare un giorno un art director, e anche se queste vaghe aspirazioni sono svanite rapidamente, alcune inclinazioni sono rimaste. Ha sempre amato fare le cose, tenerle in mano, sentirne la qualità e la texture. È una passione che ha sviluppato per la prima volta alle medie, durante il laboratorio di falegnameria e che, mi dice, lo definisce tuttora. “Sono una di quelle creature che parlano attraverso l’arte”, spiega Pitt. “Tutto ciò che voglio è creare. Quando non lo faccio, mi sembra di morire in un certo senso”. Certo, Pitt non si è limitato ai film, ha fatto molto di più: sculture, mobili, case. Come ricorda l’amico regista Spike Jonze, a volte Pitt fa anche musica: “L’altro giorno è venuto da me ossessionato dalla canzone Unconditional I (Lookout Kid) che gli Arcade Fire avevano pubblicato due giorni prima, e ci siamo seduti ad ascoltarla, a suonare la chitarra e a cantare insieme una dozzina di volte solo per riuscire a coglierla da cima a fondo. Potevo sentire la canzone che sgorgava da lui”. Mentre parliamo nel suo salotto, Pitt si allontana per un attimo e poi ricompare, sporgendosi sul divano su cui sono seduta. Mi sbatte sui palmi aperti due candelabri incredibilmente pesanti. Capisco che si tratta di sue creazioni. Durante la pandemia ha imparato a modellare la ceramica. I candelieri sono dipinti di nero e oro e sono bellissimi. “Sono di porcellana”, afferma. “Da quello che ho letto, la porcellana deve essere sottile in modo da far penetrare la luce, quindi deve esserlo il più possibile. È un peccato capitale farla spessa”. Eppure, è quello che Pitt ha fatto e con successo. “Quello che mi piace è il peso, come una fotocamera Leica o un orologio di qualità. Questa potresti sotterrarla e qualcuno potrebbe disseppellirla tra duemila anni, perché è stata sottoposta a una reazione vulcanica”. Forse la più famosa delle attività creative alternative di Pitt è il vino che produce nella sua tenuta in Provenza, Château Miraval. Nel 2008, lui e la Jolie hanno acquistato la proprietà di quattrocento ettari, in grado di produrre un rosé di livello mondiale che è diventato un business multimilionario; nel 2014 i due si sono sposati lì. Più di recente, la proprietà è tornata a far parlare di sé quando la Jolie ha venduto la sua quota di partecipazione nell’azienda. Nel corso delle controversie legali che ne sono seguite, Pitt ha ricevuto un’interessante informazione sulla tenuta. Pitt mi racconta di essere stato avvicinato qualche anno fa da un tizio che gli aveva spiegato che il castello custodiva con ogni probabilità un’altra fortuna: un tesoro in oro del valore di milioni di dollari che nel medioevo uno dei proprietari aveva accumulato in Oriente durante le Crociate e seppellito nella tenuta. “Mi sono fatto prendere dall’ossessione”, racconta Pitt. “Per un anno non ho pensato ad altro, solo a quanto tutto questo fosse eccitante”. Ha comprato un’apparecchiatura radar e ha perlustrato la proprietà. “Forse ha a che vedere con il posto in cui sono cresciuto, perché sulle montagne dell’Ozark si raccontavano sempre storie di depositi d’oro nascosti”. Com’è ovvio, non fu dissotterrato alcun tesoro. Pitt racconta che in sostanza il tizio che lo aveva avvicinato era in cerca di denaro per una qualche azienda di radar; un’opportunità di investimento, gli era stato detto. L’intera faccenda non ha portato a nulla e Pitt è rimasto un po’ sorpreso di essersi lasciato convincere a credere all’idea. L’intera esperienza è stata, dice, “piuttosto insensata alla fine. Era solo la caccia a essere eccitante”.
Mentre conclude il suo racconto, Pitt mi offre una mentina alla nicotina. Le mastica meccanicamente. Mi spiega che ha smesso di fumare durante la pandemia. Si è reso conto che la semplice riduzione delle sigarette non sarebbe stata sufficiente: doveva eliminarle. “Non ho la capacità di fumarne solo una o due al giorno”, dice. “Non fa parte del mio modo di essere. Per me o tutto o niente. Mi butto a capofitto nelle cose. Ho perso i miei privilegi”. Si tratta di uno dei numerosi cambiamenti radicali che negli ultimi anni ha adottato per tutelare la propria salute. Dopo che la Jolie ha chiesto il divorzio, nel 2016, ha smesso di bere e ha trascorso un anno e mezzo frequentando gli Alcolisti Anonimi. “Avevo un gruppo maschile molto bello lì, molto riservato e selettivo, quindi era sicuro”, racconta. “Perché avevo sentito esperienze di altre persone, come Philip Seymour Hoffman, che erano state registrate mentre vuotavano il sacco, e questo per me è semplicemente atroce”. Quando Pitt parla del passato, lo fa con un distacco in stile buddista, un tipo di auto indagine pacata. È anche molto disponibile ad ammettere il fascino dei suoi vecchi vizi, ripensando ai giorni in cui si fumava una sigaretta “al mattino, con il caffè, semplicemente deliziosa”. Secondo Pitt ci sono persone che possono andare avanti così per tutta la vita e farla franca. Tipi indistruttibili come David Hockney, il pittore inglese. Pitt lo ha incontrato in un paio di occasioni. “Fuma ancora come una ciminiera, con quell’accanimento che hanno gli inglesi. Ha un aspetto fantastico”. Pitt sorride in modo ironico. “Non credo di avere quel fisico. Sono in quell’età in cui da un vizio non viene nulla di buono”.