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Da un dittatore all’altro. Il memorandum d’intesa trilaterale firmato il 28 giugno da Finlandia, Svezia e Turchia per acconsentire al loro ingresso nella Nato premia un personaggio pericoloso: Recep Tayyip Erdoğan. Il presidente turco è infatti più vicino a Vladimir Putin – con cui d’altronde durante la guerra civile siriana si è spartito il paese – che a qualsiasi omologo occidentale. Si tratta da una parte dell’ennesimo tradimento dei paesi occidentali ai danni dei curdi turchi e siriani e della più ampia causa del Kurdistan, dall’altra di una sanguinosa concessione alle pretese del “dittatore”, come lo chiamò solo pochi mesi fa il presidente del Consiglio Mario Draghi. Anche in questo caso si tratta dell’ennesima occasione del genere, basti ricordare i miliardi di (nostri) euro versati dall’Unione europea per bloccare i migranti, in gran parte proprio siriani.
Il patto, al netto dei dettagli, prevede il totale abbandono dei due paesi nordici del sostegno al popolo curdo in ogni sua declinazione, a partire dagli asili politici e dando dunque il via a decine di estradizioni, e allo sblocco della vendita delle armi in barba alle sanzioni imposte al paese nel 2019 dopo l’intervento militare nel Nord della Siria proprio contro i curdi. E contro quelle milizie Ypg che dal 2014 hanno aiutato il mondo intero a sbarazzarsi dei tagliagole dello Stato islamico, oggi inserito nell’accordo insieme al suo braccio politico, il Partito dell’unione democratica (Pyp) oltre ovviamente al Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan ritenuto organizzazione terroristica anche dall’Unione europea e al movimento islamico Hizmet legato al predicatore Fetullah Gulen (che vive in esilio negli Stati Uniti) che Erdogan ritiene alle spalle del tentato golpe del 2016.
Le Unità di protezione popolare, in particolare, come riconoscimento hanno registrato tre anni fa il precipitoso abbandono del contingente statunitense che ne garantiva la protezione e il conseguente attacco turco nel Rojava. Oggi subiscono, senza alcuna voce nel grande gioco innescato dall’invasione dell’Ucraina, un patto sul sangue di un popolo oppresso, perseguitato e senza diritti in Siria e Turchia. Dove per altro la democrazia si è tentato di costruirla nella forma della Confederazione democratica della Siria del Nord ma a pochi – e non quelli che contano – è importato vederla né tutelarla. Per non riaprire il corso della storia tornando ai tradimenti più antichi ma non meno brucianti, unica eccezione dei quali è costituita dall’istituzione del Kurdistan iracheno. Senza dubbio la zona più florida e meglio amministrata dell’Iraq.
Dunque i leader di quei paesi che nella notte del 15 luglio 2016, quasi sei anni fa, hanno incrociato le dita sotto il cuscino affinché il colpo di Stato rovesciasse Erdogan, aspettando oltre ogni imbarazzo prima di condannarlo, oggi consentono al “Sultano” di gestire le dinamiche della Nato e di incassare il massimo possibile dalla futura adesione di Finlandia e Svezia da cui appunto, per il momento, ci guadagna solo lui nel consolidamento del suo potere asfissiante sul paese. Pur sempre con un occhio e un braccio teso all’amico-nemico, lo zar del Cremlino.