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Il nuovo film di Taika Waititi, Thor: Love and Thunder, sta volando come un fulmine in testa alle classifiche dei film più visti negli scorsi giorni, anche se al contempo sta dividendo gli spettatori, tra coloro che l’hanno travato un giocattolone spassosissimo e quelli invece che ne sono rimasti delusi. A dividere, nella ricchezza tematica che la pellicola mette in gioco, sono in qualche modo anche gli argomenti Lgbtq+ disseminati lungo la trama. A essere problematica in questo senso non è questa volta la reazione del pubblico, che in parte attendeva da tempo in un titolo Marvel lo sdoganamento di certe questioni, bensì la censura di alcuni paesi. In particolare pensiamo alla Cina, che non ha ancora concesso il visto affinché il film possa essere distribuito nelle sale del paese asiatico. In molti sono convinti che le ragioni principali, così come successo al film Pixar Lightyear che contiene un bacio tra due donne, si debba proprio all’avversione rispetto alla rappresentazione LGBTQ+ sullo schermo.
Già in Thor: Ragnarok, per esempio, si accenna – più fuori dallo schermo che in scena, a dire il vero – alla bisessualità di Valkyrie, il personaggio interpretato da Tessa Thompson. In Thor: Love and Thunder la guerriera, che tra l’altro si fa chiamare “King Valkyrie” usando il maschile “re”, parla apertamente della sua fidanzata morta in battaglia e prima ancora la vediamo flirtare con una delle ancelle di Zeus, il dio impersonato da Russell Crowe. Sembra quasi anche sfidare il Thor di Chris Hemsworth nella conquista di Jane Foster (Natalie Portman). Ma non finisce qui, perché, in modo se vogliamo fin troppo bizzarro, anche l’alieno roccioso Korg – doppiato dallo stesso Waititi – è un personaggio queer: non solo racconta che nella sua razza i piccoli esemplari vengono generati da due uomini di roccia che si tengono la mano per un mese sopra una pozza di lava (tra l’altro una storia realmente tratta dai fumetti di World War Hulk), ma alla fine lui stesso produce prole stringendo le mani a un suo omologo chiamato Dwayne.
Con tutta probabilità queste tematiche non sono ben viste dal governo cinese: il precedente Ragnarok aveva raccolto in effetti 112 milioni di dollari al botteghino quando era uscito lì nel 2017, quindi difficilmente il blocco all’autorizzazione può essere motivato dal timore di un insuccesso in sala. La verità è che tutti gli ultimi sette film prodotti dalla Marvel non sono stati diffusi in Cina, tutti per ragioni differenti ma sempre più o meno ideologiche (Black Widow per la sua rappresentazione del comunismo, Shang-Chi per passate dichiarazioni dell’attore protagonista in favore di Hong Kong, Eternals per via della sua regista Chloé Zhao, l’ultimo Doctor Strange per la presenza di un quotidiano di Taiwan e così via). In passato molti studios modificavano i propri film rimuovendo le scene “compromettenti” per appagare i censori cinesi ma ultimamente questo sta avvenendo più di rado e non è comunque garanzia di un lasciapassare. I rapporti tra Hollywood e il mercato cinematografico cinese, fino a pochi anni fa fondamentale per il successo globale di alcuni film, si sta facendo sempre più problematico.