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Ho visto l’ultima volta Tremaine Emory in carne e ossa all’inizio della primavera, poco dopo l’incidente alla panetteria. Eravamo a Parigi, alla sfilata Spaceship Earth di Off-White al Palais Brongniart, la prima del marchio allestita dopo la scomparsa di Virgil Abloh nel novembre scorso. Le sfilate di Abloh rimangono dolorose: trasmittenti di ricordi, promemoria della perdita. Tuttavia, dopo la crudezza e lo shock della sfilata Louis Vuitton di novembre a Miami, e poi la deliberata pesantezza cerimoniale del capitolo parigino di gennaio per l’autunno/inverno 2022, l’atmosfera al Palais era più gioiosa, meno greve. Fuori, la folla urlava per Rihanna, A$AP Rocky e Pharrell. Dentro, la folla brulicante comprendeva Nigo, Jerry Lorenzo, Grace Wales Bonner, Olivier Rousteing e Ibn Jasper. Tra tutti questi luminari dell’universo delle arti culturali, l’attenzione orbitava anche intorno a Emory. Il piacere per la sua nomina sembrava universale, comprovato dalle molte strette di mano entusiastiche e dalle pacche sulle spalle nella sua direzione. «La gente sembrava veramente contenta, contenta per me e contenta per Supreme», racconta Emory. «Per cui ero un po’ sopraffatto, in senso positivo». Se si volesse, si potrebbe tracciare l’ascesa di Emory alla posizione creativa più prestigiosa in quello che è probabilmente il più influente marchio di streetwear d’America soltanto attraverso la storia dei suoi impieghi precedenti. Il suo primo lavoro nella moda è stato nel reparto vendita di un negozio J.Crew nei primi anni 2000. Si è fatto conoscere attraverso una movimentata serie di progetti creativi nel campo della moda, dei party, della musica e dell’arte, principalmente attraverso il suo studio multidisciplinare No Vacancy Inn, che ha avviato con uno dei suoi collaboratori creativi più intimi, Acyde. Più recentemente, il marchio di moda di Emory Denim Tears ha esplorato il rapporto della moda con la storia e lo sfruttamento degli afroamericani, il tutto sviluppando collaborazioni con brand come Levi’s e Uggs; il look con la bandiera americana ricamata del marchio e Tyson Beckford è stato inserito nella mostra del 2021 del Met Costume Institute In America: A Lexicon of Fashion. Si racconta che abbia lavorato con Kanye, Frank Ocean, André 3000 e Virgil in persona. Ma quella di Emory è una vita i cui capitoli recenti non possono essere capiti a fondo se non si scava nel suo materiale precedente. Come dice lui: «Tutto si rifà a come sono cresciuto».
Emory è nato in Georgia nel luglio 1981. Qualche mese dopo, sua madre Sheralyn e suo padre Tracy trasferirono la famiglia a Jamaica nel Queens, New York. Sua madre mandava avanti la casa e si preoccupava di esporre assiduamente i figli alla cultura. Emory ricorda di aver visto Pavarotti cantare con The Boys Choir of Harlem a Central Park, e di aver visto Cats a Broadway, e le visite al Queens Natural History Museum. A sei anni, fu portato in un negozio di animali e scelse personalmente «un bellissimo gattino, un calico, a righe e dorato», a cui diede il nome di “Fashion”. Cita anche lo zio Ray, all’epoca muratore, come influenza stilistica: «Per lui era importante il modo in cui portava il cappello; il modo in cui portava la flanella o infilava la t-shirt nei pantaloni, il modo in cui portava un borsalino o un berretto da camionista».
Emory dice di sentirsi fortunato. Per molti dei suoi vicini, la consapevolezza di una vita al di fuori del Queens, men che meno fuori dagli USA, era debole. Ma Tracy aveva un padre che sollevava lo sguardo con un telescopio verso un mondo al di là. «Per anni ha fatto il cameraman per CBS News. Ricordo che a scuola ero orgoglioso: aveva il lavoro più figo quando c’era la giornata delle carriere. Le storie che lo colpirono di più furono quando era in Africa, in viaggio con il sindaco David Dinkins per incontrare il Papa e Nelson Mandela in Sudafrica, e a documentare il genocidio in Ruanda». Emory ricorda di aver guardato la squadra di football di Washington giocare contro i New York Giants dalla tribuna stampa. Lo sport e le sue lezioni sono stati fondamentali. Così come la marcia, sempre a Washington, che Tracy e Sheralyn compirono con i figli e con altri 250.000 per celebrare il 20° anniversario di quella di Martin Luther King nel 1963, nel corso della quale pronunciò: «I have a dream». I ragazzi Emory venivano incoraggiati a leggere: testi seminali tra cui La prossima volta il fuoco di James Baldwin e I diari di Andy Warhol.