sabato, Dicembre 21, 2024

La bolla delle terapie psichedeliche sta per scoppiare?

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Insieme ad altri due scienziati che condividevano i suoi stessi timori – Fred Barrett e Manoj Doss – Corlett ha inviato una lettera all’editore della rivista che aveva pubblicato l’articolo, per mettere in evidenza alcuni indizi allarmanti: incongruenze nei risultati, strane omissioni, inconsistenza statistica, tutti aspetti che fanno parte della scienza, ma che possono inficiare il rigore di una ricerca. La lettera è stata respinta, così i ricercatori hanno deciso caricarla su un server che ospita preprint, gli studi non ancora stati sottoposti a revisione paritaria (il documento ha poi superato la revisione e recentemente è stato pubblicato su una rivista). Per tutta risposta, Carhart-Harris e altri due coautori hanno pubblicato una confutazione della confutazione, in cui hanno alluso alla possibilità che alla base della lettera iniziale ci fossero motivazioni personali, dando il via a una polemica sui social media (Carhart-Harris ha addirittura bloccato Corlett su Twitter).

La riluttanza degli scienziati ad accettare le critiche rende Corlett pessimista sul futuro della ricerca psichedelica: “Da un certo punto di vista la scienza è fatta per essere antagonista. Sono ancora aperto ed entusiasta delle possibilità, ma credo che questa sorta di corsa affannosa a una conclusione definitiva sia davvero pericolosa“.

E in una svolta controversa dal punto di vista etico, per gli operatori del settore che hanno iniziato a intrattenere rapporti con le aziende che si occupano di psichedelici, l’enfatizzazione delle scoperte è diventata un ovvio motivo di interesse. Dichiarare i conflitti di interesse è una prassi standard nel mondo accademico, e per una buona ragione: vi fidereste di un articolo che dichiara che passare più tempo su Instagram vi rende felici se l’autore principale ricevesse denaro da Meta? Questo, tuttavia, è proprio quello che accade regolarmente nel campo della ricerca sugli psichedelici: molti professionisti nel settore hanno accettato posizioni nei consigli di amministrazione o consulenze nel comparto in continua espansione delle aziende psichedeliche. “È un incentivo finanziario a pubblicizzare i risultati“, spiega Yaden. Watts è d’accordo: “Credo che, per essere veramente solida e non creare un’enfasi eccessiva, la ricerca debba essere separata dagli interessi delle aziende interessate al profitto“.

Rischi e conseguenze

In questo contesto, occorre ricordare che gli psichedelici, pur essendo generalmente sicuri, non sono del tutto privi di rischi. Anche se accade raramente, queste sostanze possono causare episodi psicotici. Secondo Yaden, si tratta di capire quando – e non se – un grave evento avverso si verificherà durante un trattamento: “Credo che sia importante preparare le persone a questa eventualità“.

Se, come prevedono Yaden e i suoi coautori, la bolla dell’hype per gli psichedelici è destinata a scoppiare, il settore subirà un contraccolpo, e a soffrirne di più saranno le persone per le quali gli psichedelici rappresentano l’ultimo tentativo per trattare gravi malattie mentali. Secondo Yaden, se le aspettative sono esagerate, i futuri studi che forniranno una visione più rigorosa e realistica delle potenzialità di queste sostanze saranno deludenti per questi pazienti: “Credo che si sentiranno ingannati”.

Se la bolla dovesse effettivamente scomparire, Yaden e i suoi coautori sperano che il campo degli psichedelici possa tornare a stabilizzarsi, con un interesse minore da parte del pubblico e delle aziende e più tempo per la ricerca rigorosa. “L’idea non è quella di bloccare la ricerca – chiosa Yaden –, ma quella di lavorare sul lungo periodo in modo sostenibile e responsabile“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired UK.

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