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Paul Newman era un burlone. Per festeggiare la fine di Buffalo Bill ordinò aragoste per tutti – 200 aragoste – e fece friggere i guanti in pelle di daino di Robert Altman, servendogli poi come patatine. Paul Newman beveva forte e faceva moltissime saune, per sudare via quello che con tutta evidenza gli stava facendo male. Nel periodo in cui smise con i superalcolici si accontentò della birra: sì, ma una cassa al giorno. Paul Newman si era inventato con il vicino di casa un condimento per insalate: se l’avesse venduto, avrebbe dato tutto in beneficenza. Fatturava diciannove milioni di dollari l’anno. Paul Newman andava in terapia: parlava dei figli, del matrimonio, della politica. E ha scritto un libro. Il Libro, maiuscolo. Un’autobiografia alla quale ha lavorato cinque anni con Stewart Stern, lo sceneggiatore di Gioventù bruciata. Registrava tutto quello che sapeva di sé, e poi c’erano le interviste a chi lo conosceva bene. Dal 1986, amici e parenti vennero assoldati per la trascrizione di tutti quei nastri. Alzarono bandiera bianca nel 1991, sopraffatti dalla mole di materiale.
Paul Newman muore a 83 anni, nel 2008. E i faldoni della sua vita finiscono chissà dove. Solo 11 anni dopo ne salta fuori qualcuno, dimenticato in cantina, nella casa del Connecticut. Il resto era in un deposito della famiglia Newman. Quattordicimila pagine, un anno di letture. Che oggi sono un libro, Vita straordinaria di un uomo ordinario, appena uscito in Italia con Garzanti (pagg. 304, 20€). Ed è una gran bella biografia, ricca di dettagli, con molto humour, in cui ha posto anche tanta tragedia. Questo libro è nato dallo sforzo di spiegare tutto ai miei figli, anticipa Paul Newman. Lo fa dopo aver fumato uno spinello, mettendosi comodo davanti al camino della sua casa del Connecticut. Era nato a Shaker Heights, un sobborgo di Cleveland, Ohio. I Newman erano la prima famiglia ebrea a stabilirsi in Brighton Road. Questa è la storia di Paul, l’attore, il pilota di auto, il ricchissimo, l’uomo che a 80 anni abbraccia la sua ultima causa, quella dell’acqua, per portarla a chi non ce l’ha. È solo un assaggio. Nelle 300 pagine troverete molte versioni di lui: forse non tutte ugualmente amabili, ma molto vere.
Mammina cara
Da bambino Paul Newman si sentiva alla pari di un suppellettile, un essere decorativo, messo lì per la gioia della madre, una donna che aveva scelto una moquette nera per il soggiorno e poi preso un cane Spitz bianco per fare contrasto. Paul, per stessa ammissione di Joanne Woodward, era la bambola di sua madre.
Dove crescono i soldi
Paul e il fratello Art hanno un amico, Dick Goss, la cui famiglia è piuttosto benestante. Un giorno, attraversando la biblioteca di casa Goss, vedono che l’albero di natale è ricoperto di luci e di biglietti da 5 e 10 dollari. La signora Goss è nei paraggi, sta leggendo in un angolo della stanza. Alla perplessità risponde che è per dimostrare al figlio che i soldi non crescono sugli alberi: ce li mette qualcuno. Newman impara una lezione che non dimentica.
Le ragazze, che mistero
Paul Newman adolescente è un peso leggero: 45 chili scarsi, deve chiedere il permesso al preside per giocare a football. Le ragazze non lo vedono nemmeno. Chi dice che fosse un solitario, un romantico, un arrogante, si sbaglia. In realtà, è un imbranato che non sa a che santo votarsi.
Di materiale a cui ispirarsi per fare esperienza – cartoline oscene, riviste di nudo – non ce n’è. Il giorno in cui riesce a infilarsi tra il pubblico di uno spettacolo di burlesque, rimane profondamente affascinato. Suo fratello Art, invece, subito dopo corre a casa: per cercare di disinfettarsi da quello che ha visto.
Il primo Adamo e una lunga serie di Eva
Crescendo, le cose cambiano. Bob Connolly, compagno di studi di Paul Newman alla Kenyon, dice che era il ragazzo più famoso di tutto il campo. Sbronzo, correva in giro nudo come un verme. Beveva e scopava più di tutti. Era tosto e distaccato, il che eccitava le ragazze. A loro piaceva perché era il demonio.
Jackie Witte, la prima moglie
Paul si laurea alle due del pomeriggio e alle quattro è sul treno, direzione Williams Bay, Wisconsin: ha una borsa di studio per il Belfry Players, un teatro estivo. È lì che conosce Jackie Witte, la sua prima moglie: con lei sente di essere finalmente entrato in contatto con un essere umano. A quel punto pensa che sia ovvio fare il passo successivo: sposarsi e avere dei figli. Ripensandoci a posteriori, potrà solo considerare che tutto era in qualche maniera predestinato, predefinito. Si finiva di fare quello che si era cominciato, punto. Non si rendeva conto, non ancora, di poter plasmare le cose.
Paul non ricorda nulla delle sue nozze, se non di quando lasceranno il ricevimento. Per guidare cinque o sei ore in una tormenta di neve e arrivare in un hotel esausti. Se solo avessero avuto un po’ di buonsenso, si sarebbero fatti una dormita. Probabilmente Scott, il primo figlio, è stato concepito quella notte.
La maledizione dei maschi Newman
Il padre di Paul Newman beveva, apertamente e di nascosto. Morirà di complicazioni al pancreas. Il primo figlio di Paul Newman, Scott, se ne andrà per overdose.
“Sarà dipeso dal cattivo sangue dei maschi Newman?” si è chiesto a lungo Paul.
Joanne Woodward, l’amore di una vita
Paul Newman e Jackie Witte sono a New York. Lui ha 250 dollari in banca, frequenta l’Actor’s Studio, fa domanda di assunzione all’ufficio postale e pensa di tornare a vendere enciclopedie. Lei è incinta per la seconda volta, di Susan. Paul ottiene una parte in uno spettacolo teatrale, Picnic. C’è una ragazza di 23 anni, Joanne Woodward, che è lì come sostituta dei personaggi femminili. Lui non possiede nessuna grazia. Lei gli insegna a ballare.
Come diventare sexy in poche lezioni
È il momento della trasformazione definitiva di Paul Newman. Si propone come sostituto del protagonista, quando questo è via. Ma il regista, Josh Logan, gli dà un colpetto sulla testa e sentenzia: non emani il minimo senso di tensione sessuale. Si riferisce anche al modo che ha di muoversi. Ma ormai c’è Joanne. Che lo istruisce e lo incoraggia a sperimentare, anche in quel senso lì.
Sono il prodotto dell’inventiva di Joanne, dirà Paul.
In Emmanuelle, del 1974, la protagonista apre una rivista in corrispondenza di una sua foto. È fatta. È nato un sex symbol.
Tra la moglie, l’amante, l’analisi
Ovunque vadano, Paul e Joanne lasciano dietro a sé una scia di desiderio. Lo fanno e rifanno. Ma lui non si decide a divorziare: non ha abbastanza soldi, ritiene di avere un debito morale con la moglie Jackie. Con la quale ha un’altra figlia, Stephanie, maldestro tentativo di rimettere le cose a posto. Va avanti così per anni, con Paul che viaggia su un doppio binario.
Un giorno Newman conosce per caso quello che diventerà il suo analista per tre anni: un freudiano newyorkese con il collo da giocatore di football che non riesce a sciogliere gli indugi tra Jackie e Joanne.
Pensa Paul: per quanto avessi bisogno di aiuto, non ero disposto a farmi aiutare. Non che opponessi resistenza, ma non avevo abbastanza informazioni da dargli.
Un taglio netto, ma non indolore
Il modo scelto da Paul Newman di arrivare al dunque è di affidarsi agli avvocati, volare a Città del Messico per procurarsi i documenti necessari al divorzio, ripartire il giorno dopo per Las Vegas e sposare Joanne. A Jackie quell’anno restano 200 mila dei 225 mila dollari guadagnati da Paul.
Considera, a distanza di tempo: quello che ho fatto non dimostrava nessuna classe.
Infatti Newman non prende da parte i bambini per confortarli con delle spiegazioni: non perché non lo volessi fare, ma perché non passò proprio per la testa.
Quegli occhi, che fatica conviverci
Paul Newman si protegge con gli occhiali da sole. Lo fa per nascondersi, ovviamente, ma anche perché i suoi occhi chiari risentono degli strapazzi di anni. Delle troppe Budweiser bevute. Ma anche dei primi anni sul set, quando le pellicole hanno un’esposizione più lunga: gli attori sono costretti ad accecarsi fissando intensamente una lampada ad arco e a mettere colliri per mantenere l’iride bianca.
Oddio, togliti gli occhiali così che io possa vedere i tuoi occhi celesti! Questa frase ha sempre dato sui nervi a Paul Newman. Diceva: è come se chiedessi a una donna di mostrarmi il reggiseno, è offensivo.
La seconda vita come genitore
A questo punto della storia, Joanne mette al mondo la prima figlia, Nell, nel 1959. È la prima volta che Paul Newman ricorda di aver pianto da adulto, fatta salva la volta in cui è morto suo padre. Due anni dopo, alla nascita di Lissy, Paul ha una macchina fotografica: nel vedere la sorellina, Nell assume una perfetta espressione da gargoyle. Quando arriva la terza figlia, Clea, nel 1969, Joanne e Paul mettono uno stop alla vita vagabonda offerta alle bambine, tra case in affitto – più di una ventina – e lunghi viaggi per il mondo quando si gira un film. Le figlie infatti non riescono a farsi degli amici. Stabilirsi in un posto fisso rimetterà a posto le cose? Ni.
Newman si troverà ad ammettere l’angoscia dei propri fallimenti, soprattutto con il figlio Scott.
Paul Newman ha detto cose così:
1. Non ho talento per fare il padre.
2. Essere una star complica molto la vita dei tuoi figli.
3. C’è stato un periodo in cui pensavo che l’unico modo per lasciar libero Scott di fare la sua strada fosse di spararmi un colpo.
Non era vero. O almeno, non era così vero.
Con il senno di poi
Paul Newman non immagina di poter mantenere una famiglia, come aveva fatto suo padre con la propria. Prima credeva che sarebbe diventato un addetto alla pompa di benzina. Poi si è chiesto: come sarebbe andata, se non fosse diventato un attore famoso? I suoi figli sarebbero cresciuti più forti, più deboli, più indipendenti?
Il dolore più grande
Joanne Woodward. La madre di Scott, Jackie. A.E. Hotchner, il vicino di casa. La psicologa di famiglia. Sono in tanti, nella biografia Vita straordinaria di un uomo ordinario, ad avere qualcosa da dire su Paul Newman quando perde Scott. George Roy Hill, regista di Butch Cassidy e La stangata, conclude ricordando che Paul si lamentava di non sapere che cosa fare per salvare il figlio. Ma anche che Paul non poteva passare il resto della vita così: facendosi perdonare per essere Paul Newman.
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