domenica, Dicembre 22, 2024

Covid-19, facciamo chiarezza sul comune integratore che sarebbe in grado di limitarne gli effetti

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Si tratta di un comune integratore, si chiama gaba e sarebbe in grado di mitigare gli effetti di Covid-19: è quanto sembra suggerire uno studio preclinico, condotto sui topi, coordinato da un gruppo di ricercatori dell’Università della California di Los Angeles (Ucla), negli Stati Uniti. I risultati delle ricerche, pubblicati sulla rivista Frontiers in Immunology riportano infatti che l’assunzione dell’amminoacido gaba (neurotrasmettitore contenuto naturalmente nell’organismo e disponibile come integratore da banco) in topi infetti da Sars-cov-2, soprattutto se subito dopo l’infezione o durante il picco di riproduzione virale, avrebbe ridotto la carica virale nei polmoni, la gravità della malattia e i relativi tassi di mortalità. Tuttavia, non bisogna trarre conclusioni affrettate: sebbene la ricerca potrebbe spianare la strada per nuovi studi clinici, i risultati sono per il momento preliminari. I ricercatori, quindi, raccomandano di non assumere integratori di questo tipo per la cura di Covid-19 prima delle autorizzazioni da parte delle autorità competenti, perché potrebbero comportare anche rischi per la salute.

Trovare nuove terapie per Covid-19

Le terapie antivirali e i vaccini sviluppati contro Sars-cov-2 approvati negli ultimi due anni hanno contribuito in maniera significativa a tenere sotto controllo, per quanto possibile, la pandemia di Covid-19; eppure, in un contesto in cui le nuove varianti e sotto-varianti di coronavirus continuano a emergere, entrambe le strategie potrebbero nascondere alcune limitazioni. L’azione benefica dei vaccini, infatti, potrebbe essere ostacolata da nuove varianti in grado di evadere il sistema immunitario dell’ospite, oltre che dall’esitanza vaccinale, mentre i farmaci antivirali sviluppati appositamente per Sars-cov-2 potrebbero non essere prontamente disponibili per tutti – soprattutto nei paesi in via di sviluppo – ed essere meno efficaci contro nuovi coronavirus che potrebbero emergere in futuro. 

Di conseguenza, trovare nuove terapie poco costose, che non abbiano requisiti di conservazione speciali e la cui sicurezza è stata già ampiamente dimostrata potrebbe essere particolarmente utile per ridurre il carico della malattia globale causato da Covid-19.

Un buon candidato

È per questo che i ricercatori statunitensi hanno voluto vagliare nuove strategie terapeutiche per il trattamento di Covid-19, tra cui l’impiego del gaba (acronimo che sta per acido gamma-amino-butirrico). Il gaba e i relativi recettori – proteine presenti sulla superficie delle cellule che legano la molecola in maniera selettiva – fanno parte del sistema di neurotrasmettitori del cervello, ma non solo: studi precedenti hanno dimostrato che i recettori del gaba sono presenti anche nelle cellule del sistema immunitario, contribuendo a inibire il processo di infiammazione, e nelle cellule dei polmoni, limitando le lesioni polmonari e lo stato di infiammazione di questi organi. Queste caratteristiche, insieme alla sua sicurezza per l’uso clinico – si trova comunemente come integratore da banco – hanno spinto i ricercatori a indagare se il gaba potesse ridurre gli effetti delle infezioni da Sars-cov-2 (che spesso si manifestano come il risultato di risposte immunitarie eccessive e le danno polmonare). 

In effetti, in uno studio precedente condotto sui topi infettati da Mhv-1 (un tipo di coronavirus specifico per questo tipo di roditori), gli scienziati avevano già dimostrato che la somministrazione orale del neurotrasmettitore era in grado di proteggerli dallo sviluppo della malattia grave. A questo punto hanno deciso di testare in modo più rigoroso il potenziale del gaba, somministrandolo in topi geneticamente modificati che sviluppassero, quando infettati da Sars-cov-2, una polmonite grave con un alto tasso di mortalità, in maniera che fosse più semplice monitorarne gli esiti.

Lo studio e i limiti

I ricercatori hanno somministrato ai topi – che erano stati infettati da Sars-cov-2 poco prima o due giorni prima – il gaba per via orale e poi hanno tenuto sotto controllo l’andamento della malattia, confrontandola con i topi transgenici che non avevano ricevuto alcun trattamento. Mentre la stragrande maggioranza di questi ultimi non sopravviveva all’infezione, quelli trattati con gaba manifestavano una malattia meno grave e un tasso di mortalità inferiore. In più, i topi trattati con gaba mostravano una minor carica virale nei polmoni e cambiamenti associati alle molecole di segnalazione del sistema immunitario sovrapponibili a quelli dei pazienti umani malati di Covid-19 con prognosi migliori.

Comunque, sottolineano gli autori, non bisogna giungere a conclusioni affrettate. In effetti lo studio presenta alcuni limiti: il modello dei topi transgenici non mima perfettamente Covid-19 negli esseri umani o le risposte immunitarie a essa associate, senza contare che il trattamento potrebbe essere utile solo durante una specifica finestra temporale dell’infezione e deleterio in altri momenti. Tutte questioni che potrebbero essere indagate da studi clinici: prima di allora e di un’eventuale approvazione ufficiale, sottolineano gli autori, l’integratore non deve essere assunto per il trattamento di Covid-19 poiché potrebbe comportare rischi per la salute, come ad esempio limitare risposte immunitarie invece benefiche per la risoluzione dell’infezione.

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