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I romanzi mozzafiato e ricchi di dettagli scritti da William Gibson lo hanno reso un autentico titano della fantascienza. L’inquietante e incredibile preveggenza contenuta nelle sue storie lo ha consacrato a livello mondiale al ruolo di figura di spicco, anche al di là dei meriti letterari, tanto da essere considerato il codice sorgente segreto di ogni cosa, dall’iPhone alla tua giacca preferita. Sin dall’inizio degli anni ’80, ha immaginato il futuro iper-connesso in cui viviamo o, almeno, verso cui ci stiamo dirigendo e nel farlo ha ispirato innumerevoli libri e film. Come ha sostenuto Zach Baron quando ne ha tracciato il profilo per GQ nel 2014, in vista dell’uscita del romanzo dal titolo The Peripheral, «Il lavoro di William Gibson ha permeato la cultura al punto che nemmeno lui è più in grado di distinguere cosa sia suo e cosa no».
Nonostante sia un personaggio tanto influente, Gibson ha avuto meno successo nel portare sullo schermo le proprie opere, a eccezione del film Johnny Mnemonic del 1995, basato sull’omonima storia e diretto da Keanu Reeves. Il motivo non è da ricercare nella mancanza da parte sua di uno sforzo per riuscirsi: Gibson ha trascorso, infatti, alcuni anni decisamente infruttuosi a lavorare per Hollywood. Sebbene la sua sceneggiatura per Alien 3 non sia mai stata trasformata in un film, è passata di mano in mano in forma ciclostilata e si è diffusa al punto di essere stata legittimamente pubblicata e trasformata in un romanzo da un altro scrittore.
La siccità, finalmente, è finita: The Peripheral è stato adattato in una serie di 8 episodi e i primi sono già in streaming su Amazon Prime. La trasposizione non è forse un capolavoro, ma è profondamente in sintonia con la visione di Gibson di un futuro piuttosto schifoso. Inoltre, il fatto che la sceneggiatura sia stata plasmata sulla base di molte dinamiche negative esplorate da Gibson nel suo lavoro di scrittore, rende la visione piuttosto affascinante.
Un grande punto dolente per quanto riguarda gli adattamenti cinematografici è che l’immaginazione di Gibson sembra davvero difficile da riprodurre in video. Le sue storie tendono a essere caratterizzate da salti temporali che hanno perfettamente senso quando si è immersi nella lettura, ma che potrebbero non tradursi sullo schermo: due personaggi che condividono la coscienza, interazioni volutamente confuse con programmi informatici senzienti, rapidi viaggi attraverso città radicalmente trasformate e scintillanti stazioni spaziali. È facile immaginare che a qualche dirigente dello studio sia venuta la pelle d’oca al solo pensiero del budget da investire per la CGI.
Se Denis Villeneuve è riuscito a realizzare Dune, forse le vecchie regole dell’adattamento fantascientifico non sono più valide. Per questo motivo, le persone in possesso di una collezione di tascabili di fantascienza ormai sgualciti rimasti a tappezzare le camerette della loro adolescenza sono davvero elettrizzate all’idea di vedere qualcuno che ha avuto la forza di cimentarsi nell’adattamento di una storia di William Gibson. Chi non ha mai letto il romanzo si prepari ora a leggere alcuni piccoli spoiler su The Peripheral.
Nello scenario del decadente hinterland del sud degli Stati Uniti di un prossimo futuro, Flynne Fisher (Chloë Grace Moretz) incassa soldi veri giocando a un videogioco immersivo di realtà virtuale al posto del fratello Burton (Jack Reynor), un veterano dei marines il cui corpo è stato trasformato dal governo in un’arma durante una guerra passata. In questo quadretto familiare già strano si inserisce una misteriosa azienda colombiana che in cambio di una consistente cifra di denaro induce Flynne Fischer a entrare in un nuovo tipo di VR. Così, la giovane donna si ritrova a essere trasportata nella Londra di un futuro lontano, dove pilota una “periferica” simile a un essere umano e si allea con il duro Wilf Netherton (Gary Carr) per ritrovare una donna scomparsa e difendere gli amici e la famiglia da un gruppo di persone che improvvisamente cercano di ucciderla nella sua stessa linea temporale. Per avere un’idea del fascino di questa storia, immagina di trovarti di fronte a una sorta di combinazione tra i dilemmi etici legati alla creazione degli androidi al centro di Blade Runner e i viaggi nel tempo di Tenet.
Al di là di ogni gusto, anche se non sei un appassionato di fantascienza e desideri semplicemente trovare una nuova serie da guardare in streaming, ci sono numerosi spunti interessanti in The Peripheral. Uno dei modelli di riferimento della nostra attuale era televisiva è stato il modo, alla lunga deludente, in cui una serie del calibro di Game of Thrones sia riuscita a creare un universo narrativo avvincente, ma abbia poi esaurito nel momento di massima popolarità ogni spunto di trama, fino a cedere di schianto nel finale. Un altro esempio di una serie promettente minata, di stagione in stagione, dalla strisciante sensazione di non arrivare a nulla è Westworld che, guarda caso, condivide due produttori con The Peripheral. I romanzi di Gibson, invece, si sviluppano quasi sempre verso qualcosa di molto concreto e spettacolare come giusta ricompensa alla pazienza di chi ha appreso le regole dello strano futuro in cui si è ritrovato. A differenza di molti professionisti che fanno televisione in questo momento, Gibson ha una comprovata esperienza nella creazione di premesse strabilianti che alla fine hanno un senso compiuto.
Quel “qualcosa” in più in grado di accendere le sue storie tende a essere una critica silenziosa e feroce alla nostra attuale sovrastruttura finanziaria e tecnologica. Nel rileggere alcuni dei suoi libri, è sorprendente trovare molti spunti di riflessione che si riferiscono in modo inquietante allo stato attuale della cultura di massa. L’archetipo del protagonista descritto da Gibson è un freelance travolto da un’onda anomala di denaro e potere per un lavoro discutibile sotto un profilo morale, come probabilmente ci si sente a fare televisione in questo momento. A pagina due del suo primo romanzo, intitolato Neuromante, allude a un mondo in cui non sottoporsi a interventi di chirurgia plastica significa essere un diverso, un borderline in «un’epoca di bellezza a prezzi accessibili». Un’idea che prefigura perfettamente la nostra attuale era di faccette rifatte con lo stampino, iniezioni cosmetiche e trapianti di capelli a basso costo in grado di cambiare l’aspetto dei nostri personaggi famosi sullo schermo.
Anche se questa ambivalenza narrativa aggiungerebbe un tocco di piacevole originalità a qualsiasi adattamento in streaming di The Peripheral, è particolarmente ironico che venga trasmesso su Amazon. Nel romanzo di partenza c’è una cupa e ricorrente riflessione sul fatto che nel futuro l’unico posto in cui si potrà acquistare ogni genere di merce sarà un unico conglomerato di negozi. Inoltre, uno degli antagonisti di un altro romanzo dello stesso autore, Neuromante, è una famiglia aziendale dall’impressionante potere che è sfuggita alla gravità terrestre per raggiungere una villa orbitale privata e prolungare la propria vita tramite l’ingegneria genetica e il congelamento criogenico. Viene spontanea un’associazione di idee con Jeff Bezos, sempre più impegnato a mostrare i muscoli a Dio usando qualsiasi mezzo a propria disposizione: si dice che stia finanziando oscure startup anti-invecchiamento e stia conducendo egoistiche spedizioni nello spazio. Bisogna ammettere che la suggestione è forte.
Il contesto ha delle dirette responsabilità sulla resa deludente del prodotto sullo schermo. I costumi sono un punto particolarmente dolente, dato che Gibson è forse l’autore più attento alla moda di strada mai esistito nel panorama della letteratura contemporanea. Il suo romanzo del 2001, L’accademia dei sogni, è il thriller preferito dai migliori stilisti; quindi, è desolante pensare che finito di vedere il suo adattamento l’unico commento possibile sui vestiti nella Londra dell’anno 2100 è quello di avere l’impressione di vedere Shein ancora in piena attività. La sensazione di una certa mancanza di cura dei dettagli permea l’intero progetto: gli attori appaiono troppo insipidamente carini per una distopia a base di droghe. L’illuminazione è stranamente uniforme. Il racconto è gestito attraverso flashback e riprese in soggettiva. In altre parole, assomiglia a quasi tutte le altre serie in streaming presenti nell’attuale era sovrassatura di produzioni televisive di altissimo livello. Come si è chiesto Vice: «Perché tutto quello che c’è su Netflix è così uniforme e sempre uguale?».
Esistono ragioni commerciali ben precise alla base di questa scelta. Come ha scritto Max Read sulla piattaforma Substack all’inizio di quest’anno, la maggior parte dei «conglomerati multinazionali pubblici e privati… premiano i rendimenti costanti, sia che si tratti di show televisivi multi-stagionali, sia di IP consolidate e interamente di proprietà, rispetto a qualsiasi tipo particolare di innovazione, creatività o azzardo».
Gli artisti CGI non sindacalizzati e sovraccarichi di lavoro non fanno del loro meglio. Gli studi di produzione si rifiutano di pagare per avere dialoghi significativi. Sydney Sweeney di Euphoria è stata ingiustamente criticata per aver sottolineato questo aspetto, ma anche gli attori si sentono schiacciati. L’economia dello streaming portata al suo massimo livello di sfruttamento commerciale ha cambiato il modo in cui vengono realizzati i film e la TV, e di solito non in modo positivo per i più creativi.
Prevedere il futuro non è un trucco da salotto per uno scrittore del livello di Gibson: deriva in modo naturale dalla creazione di mondi letterari verosimili. Abitarli è divertente, ma gran parte del piacere di leggere uno dei suoi libri deriva dal modo in cui lui sa chiederti di guardare la tua realtà da una prospettiva temporale diversa. La scorsa settimana, nel rileggere il romanzo di partenza, The Peripheral, la descrizione di un disinfettante per le mani distribuito dal governo rimasto in eredità dopo un qualche disastro pandemico senza nome mi ha fatto drizzare le antenne.
Una cosa simile accade nel guardare l’adattamento, tanto coinvolgente quanto deludente. L’evento chiave della storia è una semi-apocalisse chiamata “jackpot”, che suona più o meno come se i prossimi quarant’anni fossero andati molto male, ma non in modo del tutto inaspettato. Per questo motivo, lo streaming di The Peripheral su Amazon Prime Video in un momento di disastro ecologico e di potenziali attacchi nucleari a cui si aggiunge la strisciante sensazione che il denaro stia risucchiando il senso dell’arte, ha il potere di farti riflettere su quanto sia terrificante e deludente il nostro futuro. La serie può non essere un adattamento perfetto del libro di Gibson, ma poiché i problemi presenti nell’industria dello spettacolo sono così sintomatici di questioni più ampie, viene a crearsi un ironico paradosso perfettamente fedele alla visione del visionario romanzo originale.