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Si è avviata come da tradizione la fase dei Live di X Factor 2022. Subito, un’apertura con un’esibizione (questa volta della conduttrice-ex-concorrente Francesca Michielin), a introdurre la giuria e le squadre. Poi, la percezione diffusa della tanta emozione, qui moltiplicata dal fatto che il debutto non era solo per i concorrenti, ma pure per tutti i giudici eccetto Fedez e, di nuovo, anche per la “padrona di casa” che nel 2022 veste l’inedito ruolo di anchorwoman ma sempre qui 10 anni fa aveva vissuto tutta la trafila selezioni, gara e vittoria che l’avrebbe portata alle tante esperienze che oggi la indicano come una delle artiste più poliedriche della scena musicale e mediatica italiana. Con l’emozione, lo show ha visto qualche inciampo prima di riscaldarsi e decollare. Prima lo si è percepito nella neoconduttrice, inizialmente più divulgativa delle informazioni su gara e sistema di voto e un po’ fredda nella sua performance rispetto alla sua norma (che non prevede abitualmente coreografie). Quindi ha contagiato la gara, facendo perdere qualche punto (e possibilità) a chi non è riuscito a celare il batticuore. La serata non ha visto grandi screzi al tavolo della giuria, giusto qualche frecciatina, e le manche si sono avvicendate lisce lisce decretando il ballottaggio (tra Lucrezia e Matteo Siffredi, entrambi della squadra di Ambra) e quindi l’uscita, con il tilt, del secondo dopo un duello al miglior cavallo di battaglia, rispettivamente Teardrop dei Massive Attack e L’appuntamento di Ornella Vanoni. Nel mezzo, mentre il pubblico votava i migliori di ogni manche, le esibizioni di Elisa e Dardust, impegnati a promuovere un tour teatrale condiviso e il nuovo album dell’autore, produttore e compositore.
X Factor 2022, le pagelle del primo live (in ordine di esibizione)
OMINI (Fedez) – Blitzkrieg Bop dei Ramones (1976)- 6,5
C’è grande energia, c’è convinzione, c’è quella capacità di suonare assieme che avevano i Maneskin fin dal primo giorno, in questo trio di 19enni che insieme formano un “power trio, una rock band e un gruppo di amici uniti dall’amore per lo skate e il brit rock”.
Dargen è estasiato dal battrista, Francesca Michielin è ritornata ai ricordi delle feste delle media in cui suonava una cover band dei Ramones e nel suo entusiasmo nostalgico tocca la questione. Gli Omini creano un muro di suono che stende e dimostrano che anche il rock conosce la freschezza, eppure, forse proprio per la freschezza, manca qualcosa. Probabilmente una certa cazzimma del proto-punk.
IAKO (Rkomi) – Un’estate fa di Franco Califano (1992, con suo testo sulla musica di Une belle Histoire di Michel Fugain, del 1972) – 6/7
Il veneziano è sia una voce sia eleganza nella produzione. Descrive il proprio suono come quello di un tubo di metallo suonato sott’acqua con grande riverbero. Nelle fasi precedenti ha commosso con il suo trattamento de Il mondo di Fontana, convince meno con il brano di Califano, forse per il contrasto tra l’intimità della strofa rispetto al ritornello, che a tratti sembra aprirsi a epos da colonna sonora di Bond. Prima di esibirsi sottolinea di aver scoperto una dimensione della propria voce che non conosceva, grazie al mentore Rkomi che sprona tutti i suoi a uscire dall’area di sicurezza per crescere mettendosi in gioco, sfidando se stessi e le proprie paure ogni giorno. Come può capitare, proprio mentre si vive una fase di esplorazione di nuovi spazi e possibilità, non sempre si convince fino in fondo… ciò che è nuovo, non è detto che sia anche controllato appieno. Al talento “più alieno” della squadra di Mirko e dello show, andrà meglio la prossima settimana.
DISCO CLUB PARADISO (Dargen) – Stand By Me di Ben E. King (1962) – 6
Come Rkomi, anche Dargen sceglie la via della prova che spezza ogni sicurezza e porta il gruppo bolognese che canta da sempre in italiano a esibirsi per la prima volta invita loro con un brano inglese, tra l’altro il più “antico” della serata delle cover. Loro se la cavano, ma senza eccellere. Non tanto per l’inglese, ma perché, come nota Ambra, l’esibizione di questo classico pensata dal mentore in chiave fine dell’estate e delle sue feste e flirt, con una band dallo spirito “fottitene e balla” non funziona fino in fondo.
LUCREZIA (Ambra) – Can’t Take My Eyes Off You di Frankie Valli (1967) – 7-
La cantautrice arriva sul palco del primo live dopo essere diventata virale su Spotify con il brano che aveva proposto alle audizioni, Molecole. Nel presentarsi ricorda che è cresciuta respirando musica in una casa anarchica, senza regole, cosa che l’ha spinta a darsene da sola. Ha talento e tecnica da vendere, ma, come le spiega Ambra, se non libera il caos emotivo che sicuramente cova sotto tanta perfezione, può rischiare di sembrare monotona alla lunga. In effetti, le viene affidata Can’t Take My Eyes Off You, da cui tirare fuori le note più malinconiche. La resa c’è, ma non abbastanza intimista. Potrebbe arrivare come una Kate Bush, invece finisce per restituire più l’idea di una Roysin Murphy in un musical di Baz Luhrmann (entrambi emozionano come pochi, quando vogliono, ma non sistematicamente).
MATTEO ORSI (Dargen) – Il posto più freddo dei Cani – 6,5
Lui è uno di quelli che nei precedenti step hanno fatto piangere tutti. Racconta “io vengo dal mondo protetto della mia cameretta, dove nascono le mie canzoni; sono molto emotivo, metto mie paure in musica e assorbo le storie degli altri”. Questo dice e questo trasmette con grande naturalezza. Nel farlo, sottolinea Rkomi, corre un po’ lo stesso rischio di Lucrezia: quello di sembrare nel tempo ripetitivo.
DADA’ (Fedez)– (mash-up di Caravan Petrol di Renato Carosone, 1958 e Pua dei Dengue Dengue Dengue, 2018) – 7
Francesca Michielin la introduce come la “profetessa dei mash-up napoletana”, lei spiega di essere “un’artista contaminata tra tradizione napoletana ed elettronica”. Fedez la sente come la quota sperimentale della propria squadra, preoccupato all’idea di finire per azzardare troppo con lei. Lei ribatte che è felice perché quando si è vista nelle audizioni ha scorto un sorriso bambino che non vedeva da anni sul suo viso. Quel sorriso c’è anche stasera, spunta tra le note. Come sottolinea Ambra è emersa una bella ironia “dopo tanta consapevolezza”.
-SECONDA MANCHE-
LINDA (Fedez) – Escluso il Cane di Rino Gaetano (1977) – 7/8
A Linda, 19 anni, cuneese, Fedez riconosce la capacità di fare subito proprio qualsiasi brano e di avere un’emotività che è pura forza più che fragilità. Non solo, dalla sua ha anche una bella estensione fino alle note alte e un graffio che fa subito rock. Tutti motivi per cui le affida uno dei brani più belli e difficili di Rino Gaetano, con libertà di aggiungere del proprio. Una mossa pericolosissima, tacciabile di sacrilegio, che però paga. Linda dimostra di saper maneggiare con rispetto e insieme autonomia anche del rischiosissimo materiale d’autore. La sua maturità musicale ed emotiva colpisce tutti. A partire dalla conduttrice, che per lei spende la seguente frase: “Scusate, sono stata concorrente anch’io e ogni tanto mi emoziono. Ma è questo il bello”.
MATTEO SIFFREDI (Ambra)– Ancora ancora ancora cantata da Mina (1978) – 6,5
Tra i concorrenti di X Factor di quest’anno, forse è quello con il bagaglio umano più pesante. Si presenta come “un tipo estroverso, ma posso diventare il contrario in due secondi. Cerco sempre di arrivare fino all’osso, con momenti di riflessione con me stesso dove per gli altri è difficile entrare”. Ammette “avevo preso brutta strada, avevo bisogno di ritrovarmi”. La sua mentore spiega che in lui vede “le paure di chi è fortemente esposto; fragile ma con voce forte che spesso manda in crisi proprio lui, il proprietario”. Al primo live, però, Matteo cammina sicuro. La sua voce si prende la scena con passo felpato, avvolge, penetra (ha qualcosa a cui Achille Lauro aspira da tempo e che probabilmente vorrebbe rubargli). Rkomi riconosce la sua sofferenza e insieme il coraggio nel misurarsi con l’incommensurabile, vale a dire con Mina. Dargen è colpito da come è riuscito a dare peso alle paroledel miglior brano di Malgioglio. La performance, però emoziona meno del suo cavallo di battaglia (L’appuntamento di Ornella Vanoni).
SANTI FRANCESI (Rkomi) – Standing In The Way Of Control dei Gossip (2006) – 7/8
In questo duo, Fedez vede i concorrenti più pericolosi per i suoi, Dargen il suono più raffinato di questa edizione e Rkomi la possibilità di sperimentare molto (mai sedersi sugli allori, accomodarsi!). Così, li fa cantare in inglese, sugli “incoverizzabili” (Dargen dixit) Gossip. Beh, che numero! Per quanto raffreddino la loro hit, la cosa ha il suo fascino.
BEATRICE QUINTA (Dargen)– Believe di Cher (1998) – 6 +
Fino al primo live è parsa più perfomer che cantante. Forse per via della sua forte motivazione (un bisogno di esprimersi a tutto tondo negato che finalmente a Milano sembra aver trovato spazio per liberarsi. Dargen durante le prove lavora sul “less is more”. E in parte ci è costretto, perché Beatrice sta male e passa buona parte della settimana afona. Paradossalmente, la cosa le libera la voce sul palco della diretta. Fa pensare a Jessie J o a una giovane Pink nella grinta, anche se le manca la loro componente r&b.
JOELLE (Rkomi) – I’m With You di Avril Lavigne (2002) – 6,5
Giorgia Turcato è la quota emotiva del roster di Rkomi. “Mi ha colpito la sua purezza, solo voce e sorriso”, spiega, e non vuole alcuna sovrapposizione, anche in termini di look o trucchi (di scena o altro). Per lei è alla ricerca del suo animale guida, perché il suo punto di forza può ritorcerlesi contro: Joelle è così intensa e diretta che potrebbe farsi vincere dall’emozione. Purtroppo è esattamente quello che sembra succederle al primo Live. parte incerta, ma quando poi si scalda e inizia a salire con le note, ricorda una giovane Elisa di Labyrinth. Dici poco!
TROPEA (Ambra) – Asilo Republic di Vasco Rossi (1980) – 7,5
Per certi versi sono i veterani, i più navigati per l’esperienza di tanti live nella scena underground. Per questo, pare, hanno fatto un. po’ fatica a sintonizzarsi con la loro mentore, Ambra. Determinata a farli uscire dal loro noto, alla fine ha rimandato gli esperimenti veri e propri a una fase successiva, con Vasco a fare inconsapevolmente da mediatore familiare al tavolo comune. Che il gruppo lo faccia proprio è indubbio. Che l’esibizione sia galvanizzante, pure. Eppure il primo Vasco, più verboso di quello maturo, forse perché vicino agli anni da speaker radiofonico, suona comunque parecchio meglio (e più autenticamente rock).