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Tre uomini e una gamba compie 25 anni, un anniversario davvero importante perché riguarda uno dei film più iconici di sempre della nostra storia, e per l’impatto che ha avuto, per ciò che ha significato per il cinema italiano, non è poi così esagerato definirlo unico ed inimitabile.
Se tale valutazione vi sembra esagerata o non veritiera, forse dovete guardare con occhi diversi a ciò che Aldo Giovanni e Giacomo ci donarono in quel Natale del 1997 e soprattutto quanto quel film abbia impattato nella nostra società. Forse la verità è che Tre uomini e una gamba è diventato qualcosa di più di un cult, ha cambiato le nostre vite in un modo che nessuno poteva prevedere, illuminando un nuovo percorso per il concetto italiano di risata.
Un capolavoro che nessuno si aspettava
Aldo Giovanni e Giacomo si erano formati nel 1991, collaborando con Marina Massironi, in una sorta di incrocio strano e atipico tra percorsi artistici dissimili eppure sovrapponibili. Il teatro e soprattutto la televisione li avevano fatti conoscere, li avevano lanciati con personaggi anch’essi ancora oggi incredibilmente vivi nella memoria collettiva. Su la Testa!, il Tg delle Vacanze, Cielito Lindo furono l’antipasto al successo clamoroso che conobbero con l’iconico Mai Dire Gol! della Gialappa’s Band, vera e propria culla per alcuni dei comici più importanti degli ultimi trent’anni.
Ma nessuno come questi due lombardi e un palermitano che dal 1994 a quel 1997, si costruirono un pubblico fedele, ampio e trasversale. Ricordare il successo di Tre uomini e una gamba significa anche ricordare che il successo si trasferì dal piccolo al grande schermo in modo assolutamente imprevedibile per l’epoca.
Il film era palesemente ispirato a Tre uomini in barca (per tacere del cane) uno dei più leggendari racconti comici della storia, firmato nel 1889 da Jerome K. Jerome. La sceneggiatura, curata dal Trio assieme al regista Massimo Venier e a Giorgio Gherarducci, rimediò ad un budget assolutamente irrisorio (solo 2 miliardi di lire) con un perfetto equilibrio tra i personaggi, l’iter narrativo e soprattutto facendosi forte di una comicità tanto efficace quanto lontana dall’essere risata superficiale e momentanea, ma mezzo per esprimere una visione, delle idee.
Perché il segreto di questo film ancora oggi, è quanto abbia saputo andare oltre il concetto di commedia all’italiana, quanto fosse incredibilmente profondo, molto spesso anche malinconico, inserito nella nostra tradizione e allo stesso tempo distante da essa.
Tre uomini e una gamba era un omaggio al cinema in quanto tale, alla comicità come modo di interpretare la vita reale e non una sua deformazione, ma soprattutto ebbe lo straordinario merito di mostrare che vi era un’altra possibilità di far ridere, andando oltre il prototipo allora assolutamente dominante dei cinepanettoni. Perché parliamoci chiaramente, Tre uomini e una gamba dopo 25 anni, a guardarlo risulta essere quasi un trattato generazionale, sociologico, culturale. Questo in virtù di tematiche, personaggi e in generale una semantica che non si allontanava dalla quotidianità ma al contrario la utilizzava come straordinaria risorsa.
Perché tutti, indipendentemente dall’età che avevamo quando guardammo per la prima volta il Trio al cinema, ci siamo sentiti Aldo Giovanni e Giacomo almeno una volta nella nostra vita.
Una commedia diversa da tutte le altre
Ed eccoci dunque a ricordare l’Odissea di quei tre amici sfigatissimi, pasticcioni, dei perdenti nati angariati da un suocero dittatoriale, volgare, un perfetto esempio dell’industriale medio italiano. Tre uomini e una gamba era un mix riuscitissimo di road movie, film generazionale ma anche un viaggio esistenziale non da nulla, un elemento che per molto tempo è stato ampiamente sottovalutato. Soprattutto vi era un profondo legame con il cinema di quel Gabriele Salvatores, che solo pochi anni prima aveva agguantato un inaspettato Oscar con il suo Mediterraneo.
La mitica partita a beach soccer contro i muratori marocchini, era del resto un caloroso omaggio al suo bellissimo Marrakech Express. Aldo, Giovanni e Giacomo avevano trent’anni quando uscì quel film, capace di toccare quota 50 miliardi di incasso, 25 milioni di euro attuali, una cifra che neppure Avatar 2 oggi può pensare di raggiungere. Giusto per capire quanto è peggiorata e non solo nei botteghini, la realtà italiana.
Avere 30 anni era complicato già su quel finire di quegli anni ’90 ottimisti, progressisti e fiorenti, con la Terza Via che pareva ad un passo, la promessa di un futuro meraviglioso, perché già all’epoca chi aveva quell’età rifletteva su che cosa volesse veramente dalla vita.
O meglio ancora, per citare ancora a Gabriele Salvatores e il suo Mediterraneo, non si era spesso ancora deciso se mettere su famiglia o perdersi per il mondo. Questo dubbio, Tre uomini e una gamba lo fa entrare nelle teste dei suoi protagonisti e nelle nostre a poco a poco, tra uno sketch, una battuta, quel mitico Ayeye Brazov o la parodia del conte Dracula.
Ma sotto traccia, ecco che ci parlava dell’Italia, delle divisioni tra Nord e Sud, di poveri e ricchi, delle sue problematicità e della mancanza di una vera libertà. Una libertà che proprio a trent’anni sfugge via dalle dita, quando non si ha il coraggio di inseguirla come si dovrebbe.
Questo era infatti un film che ci parlava soprattutto della difficoltà di crescere, di uscire dalla propria comfort zone, di affrontare le proprie paure e soprattutto di dominare la propria vita.
Non proprio la classica operazione salvagente con cui nobilitare il peggio dell’italiano medio, ridere sulle nostre disgrazie materiali o morali, prendere a picconate la famiglia, il grande cardine attorno a cui ruotava e ruota ancora oggi gran parte della nostra cinematografia.
Ma a Tre uomini e una gamba questo non interessava, di riflesso era molto più legato al cinema d’oltreoceano, si potevano scorgere i riflessi di un Fandango, così come di quel Stand By Me, che ancora oggi è il film di informazione più bello di sempre. E proprio un film di formazione era questo, mentre ci mostrava una verità che proprio i trentenni di allora come di oggi scoprono con meraviglia: nessun scelta è per sempre, la nostra vita non è già scritta, abbiamo sempre la possibilità di scegliere.
Una piccola rivoluzione tra linguaggio e fantasia
Solo l’anno prima Danny Boyle aveva portato sul grande schermo Trainspotting, anch’esso incentrato sul totale rifiuto degli ideali di vita borghese, su quel “tutta la vita lontano dai guai fino al giorno in cui morirai” a cui pure Aldo, Giovanni e Giacomo in questo film parevano destinati. Tre uomini e una gamba funzionò perché evitava pietismi, facili sentimentalismi o di consolare il pubblico. Tutti ci aspettavamo che Giacomo si fidanzasse con Chiara, invece lei alla fine, sorprendentemente e ancora oggi inspiegabilmente, decide di abbandonarli, di abbandonare lui anche se prova lo stesso sentimento. Di base forse, per non renderlo ancora una volta schiavo dell’esistenza di un’altra persona, quando la sua deve ancora essere definita.
Questo film non è stato quindi fondamentale solo per l’incredibile rinnovamento che portò all’interno della nostra cinematografia e che il trio avrebbe continuato negli anni successivi, ma anche per come ci parlava in modo realistico della quotidianità.
Tre uomini e una gamba si è depositato in modo unico nella nostra memoria collettiva, ha cambiato completamente il nostro linguaggio quotidiano, si è depositato negli universi più impensabili, persino durante questi mondiali in Qatar sui social vi è stato un bombardamento di Meme e battute riferite a questo film.
Il nostro modo di parlare, i nostri modi di dire, nessun film nella storia del cinema italiano li ha influenzati così profondamente, e non riguarda semplicemente la generazione millennial, con gli adolescenti che all’epoca passarono interi anni ad imitare il trio e loro iconici corti registrati in teatro. Riguarda tutti noi, perché nella loro sintesi, nella loro fantasia a volte grottesca, ancora oggi ricordare l’inganno della cadrega, il Marocco forte fisicamente, il nostro falegname che con 30mila lire lo faceva meglio, oppure della maglia di Ronaldo che era finita, dei topi morti dopo la peperonata, significa descrivere ogni tipo di situazione, di evento o di sentimento nella nostra quotidianità.
La verità è che a 25 anni di distanza, non ci siamo ancora resi conti che non siamo stati più gli stessi dopo aver visto Tre uomini e una gamba, dopo aver riso e assieme aver ragionato magari già giovanissimi, sul concetto di distacco e di perdita, sul cambiamento, sul fatto che la vita non sempre va come vorremmo. Ecco perché questo film è ancora oggi uno dei più rivoluzionari della nostra settima arte, semplicemente perché non era una commedia e basta, era un film sull’esistenza, privo di macchiette e maschere, dove andava in scena la nostra quotidiana lotta contro la nostra stessa vita e noi stessi. Per questo gli vorremo sempre bene come ne voliamo a loro tre, che sono stati capaci di farci dimenticare ogni stortura della nostra vita mentre la ricreavano di fronte ai nostri occhi con una dolce ferocia. E dire che tutto cominciò con una gamba di legno e una ferramenta tirata avanti da tre trentenni sfigati per i canoni di allora, privilegiati per quelli di adesso.