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Il risultato è un tipo di fruizione rilassante che lascia lo spettatore placidamente appagato senza che gli sia richiesto di arrovellarsi su misteri criptici, senza venire investito da drammi devastanti, senza che gli venga richiesto l’ennesimo sovrumano sforzo intellettuale e d’attenzione per arrivare alla fine dello show cavandoci un senso. La prima stagione ci ha regalato episodi deliziosi, come la quinta la divertente puntata dedicata alla relazione sentimentale di Spock (Ethan Peck) con T’Pring (Gia Sandhu), solo uno dei pretesti per svelare retroscena e premesse di fatti narrati o resi noti nella serie classica. Alla Primo ufficiale dell’Enterprise, la Comandante Una Chin-Riley (Rebecca Romijn) viene dedicato il terzo episodio incentrato sugli umani geneticamente potenziati mentre del capo della sicurezza La’an Noonien-Singh (Christina Chong) viene approfondita la durezza e i rimorsi in altre due puntate. A ognuno, personaggi minori inclusi, viene concesso spazio, esattamente l’opposto della Michael-centrica Discovery rovinata dal bulimico bisogno del personaggio di essere sempre al centro dell’attenzione.
Non possiamo che lodare anche gli sforzi del reparto tecnico di non ripetere gli errori di Discovery, cercando di incorporare effetti speciali e risorse moderne con il look di costumi e gli accessori degli anni ‘60, specialmente phaser, comunicatori e tricorder deliziosamente retrò. Lo stesso vale per costumi, trucco e parrucco (ci sono addirittura alcuni membri dell’equipaggio con la minigonna anni ’60 della serie classica). Alcuni hanno criticato la disinvoltura della Chapel, altri l’eccessivo cameratismo di Pike, altri ancora la rigidità di La’an: è vero, alcuni personaggi hanno bisogno di un altro po’ di rodaggio ma Akiva Goldsman, Alex Kurtzman e Jenny Lumet hanno (ri)trovato la formula giusta: un mix di azione, umorismo e rassicurante ottimismo, quello che abbiamo agognato per anni e che speriamo di ritrovare nella seconda stagione.