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Che un principio attivo possa avere non solo le sembianze di una molecola farmacologica o di una terapia cellulare, ma anche quelle di un algoritmo, ormai non suona più come una novità. Anche perché sono passati 14 anni da quanto la prima terapia digitale (in inglese sono le digital therapeutics, Dtx) è stata sperimentata, e sei da quando la Food and Drug Administration statunitense ha formalizzato la sua prima approvazione per un trattamento di questo genere.
Eppure, nonostante i paesi guida del settore siano sostanzialmente i nostri vicini di casa – Germania e Regno Unito in testa, oltre agli Stati Uniti – in Italia la situazione resta in un sostanziale stallo, perché al grande chiacchiericcio sul tema fa da rovescio della medaglia l’assenza di un quadro normativo adeguato. Utile non tanto perché il nostro paese possa accreditarsi come leader del settore a livello globale, ma quantomeno perché possa entrare in partita, anziché auto-limitarsi al ruolo di mero acquirente (anziché di produttore e distributore) di questo genere di terapie.
Qualcosa sembra stia iniziando a muoversi, in proposito, proprio in questi ultimi giorni. In ordine cronologico, a cominciare dall’istituzione di un gruppo interparlamentare ad hoc chiamato Sanità digitale e terapie digitali, in cui le Dtx sembrano rappresentare una parte del più ampio tema della digitalizzazione della sanità.
Molto più verticale sul tema è stato l’incontro Le Dtx come opportunità di crescita e rafforzamento del Sistema anitario nazionale che si è tenuto alla Camera dei Deputati nel pomeriggio di lunedì 8 maggio, che è peraltro coinciso con la nascita dell’Osservatorio sulle terapie digitali e l’annuncio di un report periodico di monitoraggio. Un evento in cui la notizia non sono probabilmente i contenuti specifici di cui si è discusso per oltre quattro ore, ma il fatto stesso che deputati (a partire da Simona Loizzo, coordinatrice del gruppo interparlamentare), istituzioni come ministero per la Salute, Aifa e Agenas, università, imprese, startup, associazioni pazienti e mondo della ricerca siano stati seduti allo stesso tavolo per iniziare a ragionare sul da farsi a livello regolatorio. L’obiettivo è evidente: superare l’attuale inquadramento normativo, che fa ancora riferimento alla regolamentazione europea del 2017 secondo cui le terapie digitali rientrano nella categoria molto più generale e generica dei dispositivi medici.
Un comparto che vale già miliardi
L’occasione è senz’altro ghiotta anche dal punto di vista economico e di sostenibilità di sistema, oltre che clinico e di salute pubblica. E a dimostrarlo sono anche alcuni dei dati che il report stesso (Dtx Monitoring Report 2023) ha raccolto e organizzato: per esempio, è stata superata quota 2 miliardi di dollari di valore per il mercato delle terapie digitali nei soli Stati Uniti, e risultano 295 studi clinici registrati a livello globale (di cui 148 statunitensi e 105 europei), con 127 di questi che sono tutt’ora in corso. E se oltre i due terzi degli studi sulle terapie digitali (il 69%) riguardano applicazioni da scaricare su dispositivi mobili, non mancano quelli su veri e propri videogiochi (7,5%) e su sistemi di realtà virtuale (2,4%). Interessante anche la suddivisione per area terapeutica, con oltre quattro studi su dieci che riguardano la mental health in senso lato (il 20% tra ansia e depressione, 10% le dipendenze e il 14% su altre condizioni di salute mentale).