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Un rappresentante del Corpo Volontario Russo (Rdk) protagonista del raid lo aveva detto a Newsweek ad aprile: “L‘Ucraina aiuta la nostra lotta in ogni modo possibile. Difficilmente saremmo in grado di avere armi se non ci fosse almeno l’aiuto dello Stato, e inoltre, sul territorio dell’Ucraina, siamo sotto la giurisdizione del Ministero della Difesa dell’Ucraina“. Kyiv ha negato pubblicamente il coinvolgimento nel raid ma, come riporta anche il Tg1, un funzionario del ministero della Difesa ha ammesso che c’è stata una certa “cooperazione“.
Supponendo che non ci sia stato alcun cambiamento nella politica degli Stati Uniti, il raid di Belgorod potrebbe quindi essere un’indicazione di come i rapporti tra Washington e i governi beneficiari dei suoi aiuti, come avvenuto altrove e in passato – ad esempio nel caso dell’Iraq o di Israele – siano più fluidi e complicati di quanto si creda comunemente.
C’è un altro problema: la maggior parte delle milizie coinvolte nel raid di Belgorod e in altri attacchi all’interno della Russia sposano un’ideologia neonazista. Il leader di Rdk, secondo il Washington Post, “è un ex combattente di arti marziali miste con legami con gruppi nazionalisti bianchi in tutta Europa“. Un altro leader del commando era stato arrestato in Ucraina nel 2020 durante un raid contro un gruppo di persone che traducevano e vendevano il manifesto dello stragista di Christchurch.
Ora, date le circostanze, questa galassia politica ha trovato un terreno più tollerante per la sua ideologia. Varrebbe la pena però chiedersi, come fa il politologo della John Hopkins University, Sergey Radchenko, se gruppi del genere rappresentino davvero un alleato affidabile e conveniente per la causa di liberazione ucraina, oppure un regalo alla propaganda russa che sostiene il diffuso “neo-nazismo” in Ucraina.
Resta poi da capire se l’incursione sia stato davvero un successo strategico, sotto il profilo dell’indebolimento dell’immagine della Russia, le cui frontiere sono apparse quantomeno porose. Arretrata la polizia di frontiera, i rinforzi ci hanno messo almeno cinque ore ad arrivare, non potendo intervenire con artiglieria e aviazione per non correre il rischio di uccidere civili, e lasciando avanzare gli insorgenti per circa 10 chilometri. Non è chiaro quali reparti militari la Russia abbia spostato per proteggere l’oblast di Belgorod dopo l’attacco, ma sembra acclarato che non siano stati stornati dai reparti schierati in Ucraina. Il fronte per ora non è indebolito e non sappiamo quanto il raid possa aiutare la controffensiva ucraina.
Di sicuro, il raid di Belgorod è stato abbastanza occultato dalla stampa russa e ha offerto al comandante del gruppo Wagner, l’oligarca, Evgenij Prigožin, l’ennesima opportunità per criticare aspramente l’alto comando militare russo. Prigožin ha infatti avvertito Putin: “Se non si cambia la gestione della guerra, in Russia ci sarà una rivoluzione come nel 1917”.
Il consenso degli esperti sembra essere questo: l’Ucraina ha tutto il diritto legale e morale di colpire il territorio russo, dopo i massacri e la distruzione subiti. Questione diversa è se però questo sia nell’interesse degli Stati Uniti e dei suoi alleati, dato il ruolo critico della Nato nell’armare e sostenere l’Ucraina.