domenica, Dicembre 22, 2024

Somalia: tecnologia per salvarsi dalle inondazioni di El Niño

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Non è tutto. L’Igad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo dei Paesi del Corno d’Africa, fondata nel 1986) fornisce un servizio di previsioni per i Paesi dell’area che non dispongono di un proprio centro meteo. Etiopia e Kenya ce l’hanno, con bollettini quotidiani, Somalia e Sud Sudan no e le previsioni fornite sono, di conseguenza, solo settimanali. “Per elaborarle viene usata una combinazione di osservazioni terrestri e satellitari: questo tipo di informazioni sono preziosissime perché sono calibrate sulla regione. Noi della Fao, peraltro, compiamo un lavoro di validazione e stiamo collaborando con Icpac (l’istituto che tecnicamente si occupa di fornire le previsioni, ndr) per portare la frequenza a una volta ogni tre giorni“, dice Paron.

La documentazione digitale che la Somalia sta costruendo è in continuo aumento. Nel 2020 è stata realizzata una mappa del suolo che ne descrive le caratteristiche e rappresenta uno strumento fondamentale per i decisori politici per impostare ogni attività di sviluppo del territorio, da quelle agricole a quelle residenziali. Il Flood risk and response management information system monitora il rischio di alluvioni ma anche lo stato degli argini e le rotture (che avvengono per semplificare il lavoro di pompe poco potenti, ma anche a causa dei guerriglieri di Al Shabaab). C’è anche un sistema di allerta precoce per l’insicurezza alimentare.

Early warning per tutti

Il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha spesso parlato dell’importanza che riveste l’early warning, l’allerta precoce, per tutti i Paesi colpiti dalla crisi del clima. “È il nuovo mantra per l’adattamento”, riprende Paron, dal momento che l’inerzia del clima renderà efficaci le politiche di riduzioni delle emissioni per almeno qualche decennio. I soldi per gli interventi potrebbero arrivare anche dal nuovo fondo per perdite e danni, che dovrebbe vedere la luce a Cop28, la prossima conferenza sul clima delle Nazioni Unite.

La collaborazione tra enti e Stati è tutto. Ma, quando non c’è, si rimedia con l’esperienza. E con qualche trucco artigianale. “L’Etiopia, per esempio, non condivide i propri dati sulle piogge, per cui non sappiamo quando e se ci sono state precipitazioni nel Paese. Rimediamo con Twitter e Facebook: gli abitanti postano sui social network le foto degli eventi meteo, e in questo modo permettono a noi di venirne a conoscenza – dice Paron –. Poi, sulla base di quanto acccaduto in passato, riusciamo a capire quanto tempo ci metterà una piena verificatasi a duecento chilometri dal confine ad arrivare”. A quel punto scattano i meccanismi di allerta: tramite sms vengono contattati i capi delle comunità e sono loro che provvedono a diffondere il messaggio.

Da quest’anno abbiamo anche stretto accordi con alcune radio, che trasmettono i nostri bollettini più volte al giorno“, aggiunge il funzionario della Fao. Funziona? “Sì. Nel caso dell’inondazione del fiume Shabelle siamo riusciti a non avere neanche un morto, e la popolazione ha messo in salvo dall’acqua i beni più preziosi e persino il bestiame. Ma non è possibile nel caso di piene improvvise, i cosiddetti flash floods”. Per quanto riguarda la riparazione dei danni, contano, e molto, le rimesse dagli espatriati della diaspora somala. “Quando i membri dei clan ricevono notizia di una calamità nel loro territorio di origine, organizzano raccolte di fondi e convogliano tutto quello che possono lì dove occorre“. Anche in questo caso, usando il web.

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