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Quando si parla di registi che non sbagliano un colpo si parla di David Fincher. Dopo i suoi vari (e memorabili) Se7en, Fight Club, Zodiac, The Social Network, Millennium e Gone Girl, porta adesso in concorso a Venezia The Killer, con Michael Fassbender e Tilda Swinton.
Un thriller tesissimo diviso in sei capitoli, tratto dalla graphic novel di Alexis Nolent e scritto da Andrew Kevin Walker di Se7en. Si regge in gran parte sulla performance di Fassbender, concentrato e algido più che in L’uomo di neve nei panni del sicario senza nome, un uomo assoldato per la sua maniacale precisione a uccidere e il suo talento a non lasciare tracce. Si mimetizza a Parigi con cappello e occhiali scuri, mirando a confondersi tra la folla e allenandosi a essere invisibile, cosa non facile nel 21mo secolo, sottolinea Fincher.
Il segreto del killer perfetto
Lo svela e ripete lui stesso fino allo sfinimento, come un mantra da tenere bene in mente nei momenti cruciali. Essere vigile, calmo ma sempre in movimento, non lasciare traccia ai “folletti” (agenti), nè alle telecamere. Non servire un dio, un Paese o una bandiera. Non provare empatia, che rende deboli e quindi vulnerabili. Giocare d’anticipo, non improvvisare, non fidarsi di nessuno, essere efficiente per un solo motivo: “Non me ne frega un c**o“. Infine chiedersi a ogni passo: “Io che cosa ci guadagno?“.
Peccato che la teoria sia puntualmente sconfitta dalla pratica: malgrado le buone intenzioni e gli anni di esperienza, qualcosa inevitabilmente va storto, a riprova che anche il killer più perfetto può sbagliare. Così, tra posizioni di yoga, sparachiodi, pittbull arrabbiati e cadaveri nel bidone il nostro anti-eroe si ritroverà in una spirale di situazioni sempre più problematiche e pericolose. Durante le quali incontrerà, tra l’altro, tutta una serie di personaggi preannunciati dai titoli dei capitoli, come “l’esperta” detta Cotton Fioc interpretata da Tilda Swinton. Scene di violenza nuda e cruda sono attraversate da battute di umorismo sparse qua e là, utili a spezzare la tensione e a rendere più vivace il ritmo della narrazione, sempre sospesa nell’atmosfera di tensione a cui ci ha abituato negli anni il cinema di David Fincher. È incredibile pensare che questo film sia stato girato “in pandemia e con una maschera addosso“, data la complessità e la riuscita qualitativa di una serie di sequenze d’azione più che credibili.