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Stazione spaziale internazionale, si cominciano a vedere i titoli di coda. La Nasa ha infatti un nuovo piano per il “decommissionamento” della stazione orbitante: l’agenzia spaziale statunitense, infatti, ha appena pubblicato un bando in cui accetta proposte (da parte di sole aziende statunitensi) per la costruzione del cosiddetto Dehorbit Vehicle (Usdv), ossia “un veicolo spaziale per portare la Stazione fuori dalla sua orbita in sicurezza, operazione che fa parte del ritiro pianificato della Stazione”. Insomma: il momento di dire addio alla Iss è più vicino.
Un po’ di storia
La costruzione della Stazione spaziale internazionale è cominciata nel 1998, con il lancio del 20 novembre, e non è mai terminata davvero: nei suoi oltre vent’anni in orbita, è stata via via ampliata, modificata, riassemblata. È stata la casa di centinaia di astronauti provenienti da 19 nazioni diverse (tra cui sei italiani: Umberto Guidoni, Roberto Vittori, Paolo Nespoli, Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti), e vi sono stati condotti centinaia di esperimenti in microgravità che hanno migliorato significativamente le nostre conoscenze nei campi dell’astronomia e dell’astrofisica, della biologia, dei cambiamenti climatici, della geologia, della medicina e di tanto altro.
Quanto mi costi
Mantenere in orbita la Stazione spaziale internazionale costa, e costa parecchio. In primo luogo, perché l’avamposto necessita di continua manutenzione: con il passare del tempo, la stazione continua lentamente a spostarsi dalla sua orbita programmata, e necessita di sempre più frequenti aggiustamenti di traiettoria: la maggior parte del carburante che arriva dalla Terra, effettivamente, viene usata a questo scopo; per di più, la stazione è costantemente minacciata da micro-meteoriti e detriti spaziali che ne mettono a rischio l’integrità. Finora nessun impatto è risultato fatale, ma stando alle leggi della probabilità, è solo questione di tempo perché succeda. Già nel 2018, effettivamente, la Nasa aveva fatto sapere, senza troppi giri di parole, che il budget dell’anno successivo avrebbe “incluso delle proposte per terminare il finanziamento della Stazione spaziale entro il 2025”, lasciando però aperta la porta a un eventuale affitto ad agenzie private: “Siamo in una situazione – aveva detto Jim Brindenstine, amministratore dell’agenzia spaziale statunitense – in cui esistono enti [privati] in grado di garantire una gestione economica efficiente della Stazione spaziale internazionale”.
Privati cercansi
Proprio per aumentare l’appetito dei privati nei confronti della Stazione, la Nasa ha anche cercato di piazzarla sul Nasdaq e, all’inizio del 2020, ha consentito ad Axiom Space, azienda nata con l’obiettivo di portare in orbita la prima stazione spaziale interamente privata, di far attraccare uno dei suoi moduli alla Iss. E in tempi più recenti anche SpaceX è entrata nell’ecosistema della Stazione spaziale internazionale, fornendo le proprie capsule per il trasporto degli astronauti da Terra alla Stazione.
Prima di andare via
Al momento, la fine della Stazione spaziale internazionale è prevista per il 2031. Nel documento della Nasa che lo sancisce sono contenuti anche dei dettagli sugli ultimi anni di vita della stazione: il terzo decennio della Iss, dice l’agenzia spaziale statunitense, sarà il più produttivo di tutti, dedicato all’avanzamento della ricerca scientifica, alla transizione commerciale (la questione dei privati di cui sopra) e alla partnership globale tra i diversi paesi che hanno preso parte al progetto. In particolare, questi saranno gli anni in cui la Nasa mirerà a implementare le tecnologie per supportare l’esplorazione dello spazio profondo e a fare ricerca che possa apportare benefici per l’umanità intera, per esempio nel campo medico e ambientale.
Verso il punto Nemo
Cosa accadrà nel concreto, nel 2031? Secondo il report, la stazione orbitante cesserà la sua attività in modo spettacolare: verrà infatti fatta precipitare nell’Oceano Pacifico meridionale, in particolare nel cosiddetto point Nemo, uno specchio d’acqua a est della Nuova Zelanda che ospita i veicoli spaziali “in pensione” che sono stati fatti uscire dalla propria orbita. L’agenzia spaziale non ha fatto cenno a eventuali “salvataggi” di componenti della Stazione da riportare a Terra e preservare in un museo a beneficio della posterità.
Serve un veicolo per il deorbiting
Arriviamo così a oggi, il momento in cui le cose si fanno più concrete. Come dicevamo all’inizio, la Nasa ha pubblicato un bando per la costruzione di un veicolo per il deorbiting della Iss – “un nuovo progetto, o il riadattamento di un veicolo esistente, che deve funzionare al suo primo volo e avere sufficiente ridondanza e capacità di recupero dalle anomalie per proseguire il processo di deorbita. Prevediamo che ci vorranno anni per lo sviluppo, la verifica e la certificazione di un veicolo di questo tipo”. Effettivamente, l’impresa non è semplice. La Stazione spaziale internazionale misura 73 metri per 109 e pesa 450 tonnellate: per questa ragione, spingerla all’esterno della sua orbita, lontano dalla Terra (il che eviterebbe problemi legati al rientro sul nostro pianeta), non è fattibile. È troppo grande e pesante, ci vorrebbe troppa energia ed è troppo alta la probabilità che qualcosa vada storto. L’unica possibilità, insomma, è il rientro controllato a Terra – una pratica già collaudata – durante il quale la maggior parte della Stazione si disintegrerà a contatto con l’atmosfera, e i detriti rimanenti finiranno nel succitato punto Nemo. L’idea originale, spiega il New Atlas, era di usare dei veicoli robotici russi, i Progress, ma per ragioni tecniche e di opportunità politica è stata scartata. Ecco, dunque, la richiesta di sviluppo di un veicolo statunitense per il deorbiting. Resta da capire, ora, chi si cimenterà nella sua costruzione, accollandosene oneri e onori.