sabato, Dicembre 21, 2024

Negli abissi del tempo con l'Uomo di Altamura

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Ha appena compiuto 30 anni, o meglio centocinquantamila e trenta. L’Uomo di Altamura è l’esemplare più arcaico e meglio conservato di Neanderthal noto al mondo: ha riposato per millenni in una piccola abside naturale all’interno di una grotta, in una cornice carsica fatta di stalattiti e stalagmiti nelle campagne pugliesi, fino a quando nel 1993 è stato rinvenuto da un gruppo di speleologi. Un’occasione per fare il punto sugli studi compiuti e per aprire nuovi fronti di discussione tra gli esperti, ma anche per riaccendere la curiosità verso questi nostri “lontani parenti”. L’interesse per i Neanderthal va oltre l’ambito accademico e si estende alla cultura pop, forse perché è “una specie simile alla nostra ma che non ce l’ha fatta, che contiene una sorta di elemento mitico, somigliante ma diversa”: è un’ ipotesi, quella di Elena Dellù, co-curatrice del convegno internazionale Abissi del Tempo. La Grotta di Lamalunga / L’Uomo di Neanderthal insieme a Giovanna Cacudi e Caterina Annese, che rende ragione del ruolo che questi cavernicoli hanno avuto e hanno nel nostro immaginario. Film e romanzi li hanno visti protagonisti, a partire da I mangiatori di morte di Michael Crichton, in cui una superstite tribù di Neanderthal si scontra con i Vichinghi. Una storia arrivata sugli schermi con il titolo Il 13° guerriero e con l’interpretazione di Antonio Banderas. E restando al cinema, non si possono dimenticare i Neanderthal di Notte al Museo, talmente divertenti che nel terzo episodio uno di loro è interpretato dallo stesso Ben Stiller, che ne veste le pelli oltre ai panni del protagonista. Né si può scordare Java, il Neanderthal assistente e inseparabile amico di Martin Mystère, amatissimo eroe dei fumetti.

Un antenato che non ce l’ha fatta

Ma chi sono questi “uomini delle caverne”? Il loro aspetto, così come ricostruito dagli studiosi, è per noi decisamente inquietante ma anche suggestivo: piuttosto bassi, avevano un corpo massiccio e una grossa testa con il cranio piatto, le arcate sopraccigliari spesse e sporgenti, la fronte sfuggente, la faccia lunga con zigomi piatti e soprattutto due grandi, rotonde cavità orbitali. Caratteristico anche il naso molto largo e la mascella inferiore robusta, priva di mento. La colonna vertebrale testimonia che l’uomo di Neanderthal portava la testa diritta e aveva una postura perfettamente eretta. Non uno scimmione spaventoso, come a lungo si è pensato, dunque, ma un nostro antenato, forse un po’ bruttino, ma che ha lasciato qualcosa di sè in noi: Neanderthal e Sapiens si sono incontrati e incrociati, come dimostrano gli esami del dna, anche se i Sapiens hanno vinto. Gli studi sul DNA hanno dimostrato che, partiti dall’Africa tra i 80.000 e i 60.000 anni fa, i Sapiens hanno convissuto con i Neanderthal che già occupavano l’Eurasia, per poi prevalere: il 2% del Dna oggi presente in tutti gli esseri umani non africani è eredità dei Neanderthal. I Neanderthal sono vissuti per un periodo compreso tra i 200.000 e i 30.000  anni or sono, un’estensione temporale lunghissima, come vastissimo è il territorio in cui hanno abitato: una fetta di mondo che va dalla Valle di Neander, in Germania, dove furono ritrovati i primi resti e da cui questi uomini prendono nome, fino al Medio Oriente, per arrivare alla Siberia e all’Asia Centrale. E naturalmente fino al Mediterraneo, a quella Puglia che si trasforma in una porta sugli abissi del tempo. “Vivevano in bande nomadi che trovavano rifugio nelle grotte” spiega Dellù “e nelle grotte da loro abitate si trovano selci adatte a fabbricare utensili funzionali alla caccia, alla raccolta e alla difesa: sfruttavano selci e legno per tutti gli usi possibili”. Questo modo di vivere era quello adottato anche dall’Uomo di Altamura, “star” del convegno organizzato dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bari Altamura, il 3 e 7-8 ottobre 2023, soprintendenza guidata da Giovanna Cacudi. Un’occasione di ripartenza per gli studi: l’indagine sui reperti e sui luoghi del ritrovamento non sono concluse, anzi. “Vogliamo esaminare il territorio circostante, valutare le varie fasi attraversate dalla grotta, tra crolli e modifiche dello strato calcareo. Vogliamo analizzare tutta la grotta, che è molto estesa e può nascondere sorprese, e che forse è stata antropizzata e sfruttata anche in fasi successive. Non basta; sono state ritrovate nella grotta molte ossa di animali: sono state portate qui come cibo o sono cadute all’interno per i movimenti del terreno? La difficoltà sta nell’entrare, poiché la grotta è di difficile accesso. Per questo la realtà virtuale ci può essere di grande aiuto: la copia virtuale può sostituire per il pubblico le visite sul sito e può costituire una risorsa per i ricercatori”. E poi c’è lui, il Neanderthal più completo mai ritrovato, che però è “incastonato” nella parete rocciosa: come sia finito nella grotta non è ancora certo. Si ipotizza che abbia cercato riparo e non sia più stato in grado di uscire, oppure che sia caduto in una forra e non sia più riuscito a risalire. E oggi “ci si chiede ancora se estrarlo o no, e per ora – chiude Dellù – vince la cautela insieme alla necessità di comprendere maggiormente il contesto della grotta e il suo stato di conservazione”.

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