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Silvia Bello è un’antropologa esperta di comportamento umano, lavora al Natural History Museum di Londra e quando partecipa ai congressi non di rado comincia i suoi interventi con un’immagine di Hannibal Lecter. Lo fa per spiegare in maniera diretta di quello di cui si occupa: cannibalismo, ma al tempo stesso per ricordare che l’immaginario comune è molto diverso da quello che a volte racconta la storia sulla pratica. Che è sì raccapricciante, ma che va letta nel contesto in cui si è sviluppata.
Cannibalismo, una pratica diffusa
Ce lo spiega illustrandoci le ultime scoperte sulla cultura Magdaleniana risalente al Paleolitico superiore che mostrano come questi uomini moderni – parliamo di circa 15 mila anni fa – praticassero in maniera diffusa il cannibalismo (o antropofagia che dir si voglia). E non per necessità, quanto piuttosto come pratica funebre. Lo suggerisce una serie di indizi geografici, culturali e qualche dato genetico, che Bello racconta insieme a William Marsh del Natural History Museum sulle pagine di Quaternary Science Review. “Il cannibalismo, per quanto oggi possa sembrarci una pratica estranea e raccapricciante, è stato diffuso a lungo, e se ne hanno testimonianze anche in tempi recenti”, spiega. Dalla Papua Guinea, alle Fiji, al Sudamerica, nel Diciannovesimo secolo ma anche fino alla metà del secolo scorso ci sono evidenze di cannibalismo. “Nella cultura Warì del Sud America, per esempio, il cannibalismo era praticato fino agli anni Sessanta, come simbolo di grande rispetto nei confronti dei morti – ricorda Bello – infatti piuttosto che lasciare che i vermi mangiassero i resti dei propri cari, un fenomeno percepito come una mancanza di rispetto, consumare altri individui era visto come una sorta di atto di amore”.
La ritualizzazione del corpo
Nel caso della cultura madgaleniana l’interpretazione è che il cannibalismo fosse una pratica funebre, associata a una ritualizzazione del corpo, con manipolazione delle ossa in oggetti, un comportamento osservato anche altrove. “Il corpo di questi uomini veniva infatti non solo cannibalizzato ma anche trasformato, con le ossa che venivano lavorate”, continua infatti Bello citando il caso dei crani trasformati in coppe o delle ossa del braccio incise verosimilmente per motivi estetici della grotta di Gough, nel Sud dell’Inghilterra. Questo però è solo uno degli indizi che ha portato i ricercatori a concludere che quella del magdaleniano fosse una pratica funebre, la più antica forma di cannibalismo con questa funzione mai scoperta, spiegano. Altri indizi infatti supportano l’idea, riprende l’esperta: “Le pratiche funebri esplodono nel periodo gravettiano, oltre ventimila anni fa. Questa epoca che precede il magdaleniano era ricca di esempi di riti funebri in cui il corpo veniva deposto. Poi però di colpo quasi esplode il cannibalismo nella cultura magdaleniana, ma è da escludere che non sapessero o conoscessero i riti funebri”. Il cannibalismo, concentrato in un periodo che va dai 18 mila a 14 mila anni fa, si pone dunque come un diverso rito funebre spiegano gli esperti.