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Erano stati gli agenti dell’Fbi Robert Ressler e John E. Douglas a creare quella definizione e John Carpenter fu il primo a connettervisi, per donare al pubblico una figura come quella di Michael Myers, di base la personificazione di un male diverso, più illogico, ancestrale, ma anche carico di significati. L’uomo nero delle fiabe grazie a lui ebbe in quel film una rappresentazione capace ancora oggi, dopo 45 anni, di lasciare senza fiato. In Myers il pubblico vide la violenza che si era impadronita della strade dell’America, dovuta alla conflittualità sociale e razziale, alla crisi economica, alla scia malvagia e degenere che aveva tramutato tanti ragazzi in deviati, tossicodipendenti, fantasmi. La droga come industria globale aveva creato aberrazioni, rivelato lati nascosti ed assolutamente estremi dell’animo umano, cambiando completamente il rapporto tra le diverse generazioni.
Se due anni prima Rocky di Sylvester Stallone aveva donato una nuova speranza per il futuro, Halloween di John Carpenter creò invece un racconto incentrato sulla metafora di quella generazione tornata con un carico di morte e sofferenza unico. Dentro quella casa diventata mattatoio dove Myers si aggira come portatore di follia e morte, con lui vi è anche il caos, quello che distrugge rapporti familiari, che deforma il sesso come fonte di morte, la gioventù come vittima di una follia oltre la logicità fondata sulla causalità. L’America vive nella paura di un male demoniaco, che si nutre dei corpi di giovani donne, si aggira sulle gambe di un uomo che indossa una rudimentale maschera per coprire la propria vera natura, connessa alla crudeltà più irrazionale. Chi lo sa dove quanti ce ne sono lì fuori a spiarci? Che forse Edmund Kemper, “il Killer delle Studentesse”, era mai parso veramente ciò che era, nascosto in piena luce?
Una nuova concezione di malvagità e di narrazione
Halloween però si depositò in modo unico nel nostro immaginario anche per lo straordinario lavoro di recupero e innovazione fatto da Carpenter con la camera da presa. Alfred Hitchcock, Howard Hughes, John Ford sono tutti dentro questo film sia in modo diretto che indiretto, nella sceneggiatura e nel modo in cui Carpenter cuce una narrazione visiva in cui la soggettività la fa da padrone. Mai prima di allora una casa era stata capace di diventare un luogo di terrore così incredibilmente efficace, slegandosi da un’idea di riconoscibilità e di razionalità. I nemici dell’America erano stati gli indiani, i comunisti, i nazisti, i gangsters, comprensibili pur nella loro aberrazione, ma Michael Myers è diverso, non ci si può venire a patti o parlare, egli è una lama di coltello mossa da una volontà che richiama il sacrificio tribale, l’anima selvaggiamente violenta dell’America.