venerdì, Dicembre 27, 2024

Tfr, cosa è meglio fare?

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Quale di queste due scelte risulta essere la migliore? Vediamole in dettaglio in modo da fare una scelta consapevole.

Di sicuro scegliere solo in base al fatto che lasciando il Tfr in azienda posso sempre cambiare idea mentre se lo destino alla previdenza complementare, finchè lavorerò presso quell’azienda, non posso tornare indietro ci spinge (secondo il principio alla base della finanza comportamentale dei “pensieri lenti e pensieri veloci” che è valso a Daniel Kahneman il Premio Nobel per l’Economia) nella maggior parte dei casi a effettuare una scelta che non è detto possa essere la migliore nel nostro interesse.

Ma attenzione alla scelta tacita. La scelta sulla destinazione del proprio Tfr nei sei mesi dall’assunzione può avvenire con modalità esplicite – come scelta del lavoratore con la riconsegna del modulo debitamente compilato – ma anche con modalità tacite – silenzio-assenso alla previdenza complementare. Con l’adesione tacita, infatti, il datore di lavoro delle aziende con più di 50 dipendenti trasferisce il Tfr maturando del dipendente in primis, se esiste e salvo diverso accordo con i sindacati dell’azienda, alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali. Ma, in questo caso, il datore verserà solo l’ammontare del Tfr senza versare il contributo aggiuntivo previsto in caso di adesione esplicita – e, negli anni, si tratta di tanti soldi a cui si rinuncia semplicemente perché “si è scelto di non scegliere”. In caso di assenza di forme pensionistiche di secondo pilastro (quelle proprie degli accordi collettivi), Il Tfr viene destinato alla specifica forma pensionistica istituita presso l’Inps – che è quella a cui, ormai troppo spesso, i governi “prendono a prestito” i soldi per coprire deficit di bilancio. La scelta tacita, in un senso o nell’altro, non conviene mai.

I punti di forza del Tfr in azienda

Lasciare il Tfr in azienda è da ritenersi la scelta migliore se si considerano questi aspetti:

  • I costi. Il Tfr lasciato in azienda ovviamente non prevede alcun costo per il dipendente mentre destinarlo alla previdenza complementare, per quando bassi, comporta comunque l’applicazione delle commissioni previste dalla specifica soluzione scelta
  • La “restituzione”. Il Tfr in azienda viene corrisposto interamente sotto forma di capitale al momento del pensionamento o, anche prima di maturare questo diritto, in caso di cambio del lavoro. Se invece viene destinato alla previdenza complementare il Tfr può essere ritirato solo al momento del raggiungimento dei requisiti per andare in pensione e per una somma massima del 50% in forma di capitale, il resto ci verrà riconosciuto sotto forma di rendita. È possibile ottenere tutto il Tfr in forma di capitale solo nel caso in cui il montante finale del fondo pensione fosse così basso che, trasformandone il 70% in rendita si genererebbe una rendita inferiore al 50% dell’assegno sociale. Nel valutare questo punto bisogna comunque ricordare le finalità previdenziali che è importante mantenga il Tfr.
  • Il riscatto. Se lascio il Tfr in azienda il riscatto anticipato è infatti possibile al 100% in caso di perdita o di cambio del lavoro mentre, destinandolo alla previdenza complementare è possibile riscattarlo al 50% in caso di disoccupazione dopo 1 anno o il 100% in caso di disoccupazione dopo 4 anni o invalidità superiore al 66%

I punti di forza della previdenza complementare

Decidere di destinare il Tfr alla previdenza complementare non ci permette solo di essere lungimiranti ed avere una risposta – magari non sufficiente – alle esigenze che avremo nella quarta fase della nostra vita – fra l’altro in un contesto demografico di allungamento della vita media e, quindi, dell’aumento delle esigenze di supporti economici quando non avremo più l’opportunità di lavorare – ma ci consente anche di avere questi vantaggi rispetto al Tfr lasciato in azienda:

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