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All’interno della bozza della legge di bilancio 2024, resa pubblica il 24 ottobre, si sta prendendo in considerazione un cambiamento rilevante che riguarda gli affitti brevi. L’ipotesi al vaglio consiste nell’innalzare l’aliquota della cedolare secca dal 21% al 26% per le locazioni brevi. Si così fosse si tratterebbe di uno dei più significativi colpi inferti in Italia a una piattaforma di sharing economy dai tempi in cui l’attività di Uber venne dichiarata in violazione delle norme sul trasporto pubblico non lineare.
L’iniziativa, tuttavia, non sorprende. Come noto, la cosiddetta sharing economy ha rappresentato sin dalla sua nascita un duro banco di prova per i regolatori: essa, infatti, muta con la rapidità con cui evolve la tecnologia e al suo interno ci si muove in un ambiente ibrido, dai confini sfumati.
Prima di arrivare all’odierno sentimento di chiusura nei confronti della sharing economy, diffuso almeno tra chi esercita il potere regolatorio, potrebbe essere utile ricordare come essa è nata. La sharing economy si è sviluppata in risposta all’esigenza delle persone di far fruttare dei beni sottoutilizzati. In passato, spesso le persone rispondevano ai loro bisogni acquistando beni che poi rimanevano inutilizzati o venivano sfruttati in modo limitato; la sharing economy ha permesso loro di sfruttare e, perché no, profittare dal sottoutilizzo dei propri beni.
È bene precisare che ciò non sarebbe stato possibile senza l’avvento della tecnologia digitale. Infatti, le piattaforme digitali hanno saputo offrire soluzioni efficaci alla più importante barriera alla diffusione di meccanismi di condivisione dei beni privati, e cioè la fiducia nei confronti degli estranei. Si sono così sviluppate le recensioni e i feedback, strumenti tendenzialmente trasparenti e, comunque, affidabili, che hanno reso possibile il controllo tra pari e, quindi, la condivisione della proprietà privata. Ne è nato un intero mercato, nient’affatto trascurabile: si stima che nel 2021 il settore valesse globalmente circa 113 miliardi di dollari.
Certo, come tutte le innovazioni, anche la sharing economy ha presentato un prezzo da pagare: gli operatori tradizionali hanno perso terreno nei confronti dei nuovi player, che hanno beneficiato (anche) dell’assenza di regole a loro direttamente applicabili e, quindi, di minori costi d’impresa. Ma le esternalità negative della sharing economy non incidono solamente sui concorrenti; per rimanere al caso degli affitti brevi, sono note le proteste che hanno interessato le più grandi città europee e nordamericane, i cui cittadini lamentano l’indisponibilità di immobili per affitti a lungo termine, l’incremento dei prezzi e la gentrificazione di interi quartieri causata dal desiderio dei proprietari di immobili di affittare la casa a turisti per brevi periodi.