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Ora le questioni di diritti si sono risolte e House of Cards sbarca nella sua casa “naturale”, un’occasione per ricongiungere un titolo di punta al suo ambiente originario. In effetti la storia di Frank Underwood, spietato politico di Washington intervistato da Spacey che tenta ogni strada di manipolazione e macchinazione per scalare le varie cariche fino ad arrivare al punto più alto della Casa Bianca, ha fatto la storia di Netflix stessa, mostrando come fosse possibile rinnovare i generi seriali tradizionali, alzando la qualità e coinvolgendo nomi di grido anche dal mondo del cinema (oltre allo stesso Spacey, tra i produttori esecutivi c’era anche un certo David Fincher). Storytelling di grande raffinatezza, tematiche ambigue e controverse, recitazione intensa e – non si può nasconderlo – altissimi budget hanno fatto il successo di questo titolo e in qualche modo fissato uno standard per tutto ciò che sarebbe venuto in seguito.
Purtroppo a un certo punto gli scandali personali di Kevin Spacey hanno minato l’andamento stesso della serie: quando l’attore nel 2017 fu accusato di molestie sessuale anche nei confronti di ragazzi minorenni (molte della accuse, poi, sono sfumate in tribunale), venne subito licenziato dalla produzione e la sesta e ultima stagione proseguì senza di lui, concentrandosi su Claire Underwood, la moglie di Frank interpretata da Robin Wright, la quale arrivò lei stessa a diventare presidente degli Stati Uniti. L’ultimo ciclo di episodi fu accolto in modo meno entusiasta, specialmente per i salti carpiati che a livello di sceneggiatura si dovettero adottare per adattarsi all’assenza del protagonista maschile. Nonostante ciò House of Cards rimane una pietra miliare e un modello seriale a tutt’oggi insuperato: ora un pubblico ampio e diverso ha l’occasione di recuperarlo su Netflix, comprendendo come le serie sono cambiate in quegli anni e ancora stanno cambiando.