giovedì, Dicembre 26, 2024

Come l'intelligenza artificiale può aiutare la la didattica

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Poche settimane fa, l’Unesco ha pubblicato la Guidance on Generative Ai in Education and Research, il primo documento “globale” contenente delle linee guida per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (e in particolare delle intelligenze artificiali generative) nella scuola, e più in generale nel campo della formazione. Un tema che l’agenzia Onu ha definito urgente: “L’intelligenza artificiale generativa – ha detto Audrey Azoulay, direttrice generale Unesco – può rappresentare un’enorme opportunità per lo sviluppo umano, ma può anche causare danni e pregiudizi. Non può essere integrata nell’istruzione senza un grande impegno pubblico e le necessarie garanzie e normative da parte dei governi. L’Unesco ha deciso di pubblicare queste linee guida per aiutare politici e insegnanti a sfruttare al meglio il potenziale dell’intelligenza artificiale nell’interesse primario degli studenti”.

Tipicamente, parlando di intelligenza artificiale e scuola (e studenti, per l’appunto), il primo pensiero va all’uso di ChatGPT e simili per barare nelle esercitazioni o nei compiti in classe; ma il tema, in realtà, è molto più ampio e complesso, e lo scenario appena citato è molto marginale, come sottolineato nell’introduzione delle linee guida: “In tutto il mondo – scrivono gli esperti – la più grande preoccupazione è rappresentata dal fatto che ChatGPT e altri strumenti di intelligenza artificiale generativa siano usati dagli studenti per imbrogliare nei compiti, il che inficerebbe il valore dell’apprendimento e l’attendibilità delle valutazioni […] Ma in effetti, l’intelligenza artificiale generativa ha tantissimi utilizzi diversi. Può automatizzare l’elaborazione delle informazioni e la presentazione dei risultati finali attraverso tutte le principali rappresentazioni simboliche del pensiero umano. Consente di consegnare i risultati finali fornendo prodotti di conoscenza semi-lavorati. Liberando gli esseri umani da attività appartenenti a livelli di pensiero di ordine inferiore, questa nuova generazione di strumenti di intelligenza artificiale potrebbe avere profonde implicazioni nella nostra comprensione di intelligenza umana e apprendimento”.

Al di là del linguaggio un po’ astratto e sibillino (le rappresentazioni simboliche del pensiero umano, i prodotti di conoscenza semi-lavorati), il senso dell’affermazione è che con i nuovi strumenti di intelligenza artificiale generativa si può fare molto di più e molto meglio di quanto si pensi, e che questi strumenti, se usati in modo appropriato, possono regalarci molto più tempo da dedicare ad attività appartenenti a livelli di pensiero di ordine superiore, quelle in cui (al momento) gli esseri umani sono ancora insostituibili – e quelle più divertenti da svolgere. Per scendere più nel concreto e capire con più precisione quali potrebbero essere le applicazioni di questi strumenti nel campo della didattica abbiamo chiesto lumi a Chiara Panciroli, professoressa ordinaria al Dipartimento di scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, responsabile scientifica dell’Unità Ai and Education al centro interdipartimentale di ricerca Alma for human-centered artificial intelligence e membro del direttivo della Società italiana di ricerca sull’educazione mediale. Il 16 novembre prossimo Panciroli terrà un incontro al Circolo dei lettori di Torino dal titolo Il professore onnisciente, parte di un ciclo più ampio dedicato all’intelligenza artificiale generativa e ideato dall’Università degli studi di Torino e dalla Società italiana per l’etica dell’intelligenza artificiale, proprio su opportunità e rischi dell’utilizzo di questi strumenti nell’universo educativo.

Spiegare l’inspiegabile

“L’utilizzo didattico dell’intelligenza artificiale è un tema che non riguarda solo gli studenti” ha esordito Panciroli “Tocca anche i docenti, il personale amministrativo, i dirigenti, le famiglie: tutti gli attori del sistema scuola. Uno dei temi più importanti è quello della cosiddetta explainability, ossia la comprensione e la spiegazione di cos’è e come funziona un’intelligenza artificiale”. Ovvero: prima di usarli, prima addirittura di ipotizzare per cosa usarli, bisogna anzitutto conoscere questi strumenti. Capire come funzionano, quali sono le loro potenzialità e (soprattutto) quali sono i loro limiti. Ma anche evitare di considerarli una scatola nera che processa chissà come un input e restituisce un certo output. L’explainability (“spiegabilità”) è proprio questo: dovremmo essere sempre in grado di comprendere e interpretare i contenuti e le previsioni generate da un’intelligenza artificiale. E per far questo c’è bisogno di una cultura dell’intelligenza artificiale, al momento ancora lacunosa sia tra gli studenti che tra i docenti. “Nel caso delle intelligenze artificiali generative come ChatGPT, per esempio” continua l’esperta “è indispensabile comprendere come funzionano i prompt da dare al sistema: con prompt pessimi si hanno output pessimi, e gli strumenti perdono di utilità [tanto che è nata una branca apposita, la prompt engineering, ndr].

Abbandono scolastico e autovalutazione

Fatta questa premessa, cerchiamo di entrare più nello specifico. L’intelligenza artificiale ha due possibili categorie di applicazione nel campo dell’educazione: le cosiddette utilità di sistema – quelle riferite al sistema scuola o al sistema università nel loro insieme – e le utilità didattiche, specifiche per l’insegnamento o per l’apprendimento. “Tra le utilità di sistema – dice Panciroli – abbiamo per esempio condotto una sperimentazione relativa alla dispersione scolastica, e in particolare al drop-out universitario. Abbiamo addestrato degli algoritmi che, esaminando gli accessi degli studenti alle piattaforme online, le presenze a lezione, i tempi di consegna dei compiti e altri parametri, prevedono quando è più probabile che uno studente possa abbandonare gli studi: l’idea è che in questo modo si possa intervenire per tempo, per esempio con un riorientamento rapido o offrendo un piano didattico personalizzato, ed evitare l’abbandono”. E ancora: “Un’altra utilità di sistema è quella legata al sistema di valutazione delle scuole, l’Invalsi: l’intelligenza artificiale può fare da supporto a questo sistema, per esempio leggendo e comparando in modo integrato tutti i dati raccolti e individuando criticità, punti di forza, lacune”. Oppure prevedere i risultati futuri e suggerire, ancora una volta, interventi tempestivi laddove servono.

Valutazione degli studenti e compiti a casa

Naturalmente non mancano le applicazioni più prettamente didattiche. Per esempio quelle che riguardano i sistemi di valutazione degli studenti: “È un tema di cui si torna a parlare ogni anno” dice Panciroli “e relativamente al quale l’intelligenza artificiale potrebbe essere di grande aiuto ai docenti. Questi strumenti consentono di superare la cosiddetta valutazione sommativa (quella tradizionale, ricavata da test, interrogazioni e simili), che tipicamente arriva alla fine del percorso (o al massimo a metà, tra un quadrimestre e l’altro) e passare a una valutazione formativa, continua, in itinere, che dia ai docenti feedback ricorsivi con cui comprendere meglio le lacune degli studenti e mettere in campo tempestivamente delle attività di supporto”. Esistono per esempio degli strumenti di automatic exit scoring (che in realtà non sono nuovissimi: le prime sperimentazioni sono state condotte negli Stati Uniti già alla fine degli anni novanta) in grado di esaminare la struttura delle frasi scritte dagli studenti, gli errori ricorrenti, il tempo di consegna dei compiti e fornire così al docente un punteggio continuo, semplificando tra l’altro la correzione. “Prima questi strumenti erano meno raffinati” dice Panciroli “oggi invece sono più semplici da usare e più efficaci; inoltre, si possono adattare allo stile dei docenti. Stiamo avviando una sperimentazione anche su questo”. E infine, last but not least, ci sono tutti gli strumenti che possono aiutare gli studenti a studiare e fare i compiti, oltre al già citato ChatGPT (da usare con tutte le precauzioni e la consapevolezza di cui sopra), “i cosiddetti mediatori visivi che compensano la parte “trasmissiva” delle lezioni, per esempio gli algoritmi che a partire da un testo (che può essere la trascrizione di una lezione) producono mappe concettuali.

La privacy? Un problema relativo

A che punto siamo, dunque? Panciroli sostiene che esistano ancora resistenze da parte del sistema educativo rispetto all’adozione di questi strumenti, in parte dovute al fatto che “per definizione la scuola è un luogo conservatore e contrapposto all’innovazione”, e in parte dovute alle paure relative alla privacy. Un tema certamente delicato e importante, ma che secondo l’esperta non va ingigantito: “Quello della privacy” conclude “è (almeno in parte) un falso problema. Si può superare facilmente tenendo i dati in grigio: nel caso della scuola non serve una profilazione profonda, non serve sapere a quale studente è riferito a un certo dato. L’importante, nella maggior parte dei casi, è avere delle informazioni aggregate. Anche su questo tema c’è bisogno di maggiore consapevolezza e formazione”.

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