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E se invece di scoraggiare le emissioni di CO2 equivalente tassando i consumi, si spostasse l’attenzione sulla generazione di profitti? Insomma, se invece di imporre un sacrificio fiscale a tutti, indiscriminatamente, il fisco mirasse ai ricavi creati dagli investimenti per sostenere l’economia fossile si otterrebbero due risultati. Scoraggiare il profitto che deriva dalle attività di aziende climalteranti e sollevare i redditi di chi adesso, pur concorrendo in parte minima al global warming, è colpito dalle imposizioni fiscali sulla CO2.
Sono i risultati di una nuova analisi statunitense, secondo cui il reddito generato dagli investimenti è responsabile di oltre la metà delle emissioni di CO2 equivalenti degli americani più ricchi. Da quest’analisi è nato uno studio di alcuni ricercatori dell’Università del Massachusetts Amherst, pubblicato su Plos Climate, che propone di cambiare la prospettiva della tassazione sul clima, mirando ai redditi generati da investimenti in aziende non “green”. Infatti, le tassazioni al momento pensate per affrontare la questione climatica sono basate sui consumi, non sui ricavi. E questa scelta colpisce soprattutto le persone più povere, già spesso vittime dei vari effetti dei cambiamenti climatici per motivi diversi. La proposta dei ricercatori americani è semplice: introdurre nuovo tipo di carbon tax incentrata sugli investimenti, dove quelli realizzati in industrie ad alta intensità di carbonio sono tassati più pesantemente di quelli a favore di industrie “verdi”. Una scelta di equità che porterebbe un grande beneficio alla causa climatica, sposando sostenibilità ambientale e sociale.
I miliardari inquinano di più
Le premesse del rapporto da cui prende il via lo studio dell’Università del Massachusetts Amherst non sono certo una novità. Come un urlo nel vuoto o un post-it facile da buttare, anche l’anno scorso Oxfam ha pubblicato un report in occasione della Cop27 che inquadra un tema cruciale nella lotta al cambiamento climatico: l’impatto sul global warming dei più ricchi al mondo. Secondo l’ong, in media in un anno gli investimenti di ciascuno dei 125 miliardari più abbienti sul pianeta in 183 tra le più grandi aziende del mondo in settori economici inquinanti generano una quantità di emissioni 1 milione di volte superiore rispetto a quella di un qualunque cittadino collocato nel 90% più povero della popolazione mondiale.
In sintesi, le emissioni annue di CO2 associate agli investimenti in imprese inquinanti da parte di 125 miliardari sono superiori a quelle di cui è responsabile l’Italia. Succede soprattutto a causa del fatto che questi miliardari sono grandi investitori in aziende inquinanti. Oxfam ha calcolato che un aumento dell’imposizione sui grandi patrimoni consentirebbe di raccogliere fino a 1.400 miliardi di dollari all’anno. Il report dell’ong, per quanto preciso, aggiornato e dettagliato, è rimasto ancora una volta lettera morta in termini di politiche attive per contrastare i cambiamenti climatici. Ma è solo uno dei tanti rapporti scientifici che descrivono l’enorme impatto climatico dei più ricchi rispetto alle classi meno abbienti.
Un fenomeno che si riflette anche a livello di rapporti tra nazioni. Un altro studio pubblicato recentemente su Nature Sustainability ha dimostrato che se a ciascuna nazione fosse assegnata una quota equa di emissioni basata sull’uguaglianza, entro il 2050 i Paesi ricchi dovrebbero 192.000 miliardi di dollari a quelli più poveri. Il paradosso della realtà è che oggi a presiedere la Cop28, deputata ad affrontare le soluzioni per la questione climatica, c’è il sultano Al Jaber, uno tra i miliardari più influenti nella comunità internazionale. E com’è noto il sultano è anche l’amministratore delegato della compagnia petrolifera degli Emirati arabi uniti, uno degli stati più climalteranti del Pianeta, a causa delle proprie attività legate alle risorse fossili.
Tassare gli investimenti in aziende climalteranti
I ricercatori dell’Università del Massachusetts Amherst, guidati da Jared Starr, hanno scoperto che il reddito derivante dagli investimenti rappresenta circa il 40% delle emissioni per l’1% delle famiglie statunitensi che guadagnano di più, e più del 50% per il top 0,1%. Per questo il loro studio propone un nuovo tipo di carbon tax incentrata sugli investimenti. Attraverso cui tassare investimenti in industrie ad alta intensità di carbonio più pesantemente di quelli in industrie verdi. In uno dei grafici dello studio, qui di seguito, si vede il rapporto tra la produzione di tonnellate di CO2 equivalenti, la grandezza dei redditi e la loro composizione tra stipendi, investimenti e pensioni.