venerdì, Dicembre 27, 2024

YouTube, il governo israeliano ha pubblicato video di civili uccisi

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Il governo di Israele ha pubblicato sui canali ufficiali di YouTube una serie di video che sembrano violare le policy di moderazione della piattaforma. Lo ha rivelato un’inchiesta dell’organizzazione statunitense Ekō, che ieri ha pubblicato un report intitolato “La guerra digitale di Israele: come lo Stato ha violato le politiche di YouTube per guadagnare sostegno e manipolare l’opinione pubblica”. I video mostrano violenze sui civili, in particolare su bambini, immagini di cadaveri, di abusi fisici e verbali su persone inermi. A pubblicarli sono stati gli account ufficiali del Ministero degli Affari Esteri e delle Forze di Difesa Israeliane (IDF).

I video rappresenterebbero le violenze compiute da Hamas contro civili israeliani e vengono sfruttati, secondo l’organizzazione per “tentare di plasmare la narrazione pubblica degli attacchi di Hamas e della successiva escalation militare di Israele del 7 ottobre 2023″. Pur condannando tutte le violenze sulla popolazione civile (gli attacchi di Hamas di inizio ottobre sono costati la vita a milleduecento persone), Ekō evidenzia come la strategia digitale di Israele sia volta a scioccare l’opinione pubblica e a costruire una narrativa di giustificazione dei bombardamenti sulla striscia di Gaza. I recenti attacchi contro gli ospedali e le scuole di Gaza sono stati definiti crimini di guerra dagli esperti delle Nazioni Unite.

I video analizzati, diciassette in tutto, sono in contrasto con le norme di YouTube sulla rappresentazione di violenza. Al momento risultano ancora tutti online e pubblicamente accessibili, con l’eccezione di uno, che è stato contrassegnato come “privato”. Secondo i ricercatori, inoltre, alcuni utenti hanno segnalato sui social media di aver visto gli stessi video in formato di annunci pubblicitari. I ricercatori non sono tuttavia riusciti a raccogliere screenshot degli annunci pubblicitari, a causa della nota mancanza di trasparenza di YouTube rispetto alle strategie pubblicitarie.

Un doppio standard?

Nelle settimane scorse diversi attivisti hanno denunciato operazioni di censura da parte delle piattaforme social nei confronti di contenuti a sostegno della causa palestinese. Il noto profilo Instagram @eye.on.palestine è stato sospeso da Meta per “questioni di sicurezza”. Su Instagram è comparsa l’espressione “terrorista ” nelle bio di alcuni utenti palestinesi. L’azienda si è successivamente scusata, parlando di una “traduzione inappropriata dall’Arabo”. Un gruppo di organizzazioni, tra cui 7amleh (il Centro Arabo per lo Sviluppo dei Social Media), l’organizzazione globale Access Now e il gruppo di attivisti di religione ebraica Jewish Voice for Peace ha rilasciato una dichiarazione per il rispetto dei diritti digitali dei palestinesi. Si legge nel comunicato: “Chiediamo alle aziende tecnologiche di riconoscere il loro ruolo cruciale e la loro responsabilità nella regione e di aderire ai loro principi aziendali e a quelli dei diritti umani, nonché alle legislazioni internazionali, per salvaguardare la libertà di espressione. In particolare, le aziende tecnologiche dovrebbero astenersi dal partecipare attivamente al silenziamento e alle atrocità commesse contro il popolo palestinese”. Dagli attacchi del 7 ottobre sia i discorsi anti-semiti che quelli islamofobi sono in aumento su Internet. Anche in relazione alle violenze commesse da Hamas, diversi esperti di diffusione della violenza in rete lamentano una mancanza di trasparenza da parte delle piattaforme.

Secondo Flora Rebello Arduini, campaign director a Ekō: “Non è una novità che le piattaforme abbiano a lungo discriminato le voci palestinesi e quelle solidali con loro. Per anni gli attivisti hanno denunciato i doppi standard dei giganti dei social media, tanto che nel 2022 Meta stessa ha commissionato un’indagine indipendente, scoprendo che la piattaforma censurava costantemente e deliberatamente le voci palestinesi”.

In questo caso la ricerca si focalizza su YouTube e sul mancato rispetto delle loro stesse policy di moderazione. “Ciò che la nostra ricerca ha evidenziato è che YouTube sta traendo profitto da una strategia online sponsorizzata da uno Stato per plasmare l’opinione pubblica a sostegno degli attacchi militari che stanno uccidendo migliaia di civili innocenti, ignorando deliberatamente le proprie politiche sui contenuti violenti o grafici” prosegue Rebello Arduini. “Applicare la propria politica in modo uniforme è il minimo indispensabile – e loro non fanno nemmeno questo. La domanda è: perché e per quanto tempo ancora i dirigenti di YouTube mentiranno a se stessi e al pubblico, sostenendo che tutto questo sia accettabile?”

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