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Pochi vorrebbero essere nei panni di una startup di carne coltivata in Italia. Soprattutto nel 2023, anno in cui le bistecche create in laboratorio sono finite a più riprese sotto i riflettori e nei disegni di legge. Il primo ddl con il divieto di produzione e commercializzazione risale a marzo. A luglio lo ha votato il senato e adesso c’è anche l’ok della camera.
Nonostante tutto, c’è che resiste e tira dritto per la sua strada. È il caso di Bruno Cell, startup che deve il suo nome a Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600 per le sue idee eretiche. “La sua determinazione nello sfidare i paradigmi dominanti è per noi fonte di ispirazione”, si legge sul sito dell’unica realtà italiana a occuparsi di carne coltivata in laboratorio, cioè composta da cellule animali che vengono fatte moltiplicare in appositi contenitori, i bioreattori. Rispetto a quella tradizionale, permette di limitare l’emissione di gas serra, il consumo di suolo e acqua e la deforestazione collegati agli allevamenti, oltre a salvare gli animali.
Le recenti scelte del governo vanno nella direzione di sbarrare la strada alla produzione di questo tipo di alimento. “Ma noi facciamo ricerca”, spiegava qualche mese fa a Wired Stefano Lattanzi, che ha fondato la startup nel dicembre 2019 a Trento. Gli stop di legge infatti riguardano infatti la produzione, l’importazione e la commercializzazione della carne coltivata (questi ultimi due aspetti potrebbero creare problemi con l’Unione Europea, come già accaduto in passato). Nulla vieta la ricerca, la cui importanza è stata ribadita con forza dagli scienziati. Creando un cortocircuito: dagli sforzi di realtà italiane potrebbero nascere brevetti che, venduti ad aziende di altri paesi, creeranno profitto fuori dall’Italia.
La startup di Trento
È quello che potrebbe succedere nel caso di Bruno Cell. L’interesse di Stefano Lattanzi per la carne di laboratorio risale al 2009, quando ne legge sul sito di New Harvest, un istituto di ricerca che si occupa di agricoltura cellulare. L’entusiasmo è tale che contatta la ong e inizia una collaborazione. Nel 2017, dopo aver partecipato a una conferenza internazionale sul tema, Lattanzi che una startup informale chiamata Bruno Meat (che nel giro di qualche anno sarebbe diventata Bruno Cell) grazie al sostegno di un incubatore locale e alla collaborazione con l’Università di Trento.
Oggi Bruno Cell si impegna nella selezione e nel finanziamento di ricerche e trovati promettenti. Obiettivo: costruire un portafoglio brevettuale e valorizzare l’intellectual property, anche tramite la commercializzazione di linee cellulari all’estero (a Singapore, per esempio, la carne coltivata può essere mangiata in alcuni ristoranti). Puntando persino allo spazio e alla space economy, con la partecipazione a un bando Esa (European Space Agency) in collaborazione con una società aerospaziale americana. Insomma, la carne coltivata made in Italy potrebbe in futuro finire nello spazio, ma non sulle nostre tavole.