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Azaiza si è laureato all’Università Al Azhar, a Gaza, e ha iniziato a lavorare come fotografo freelance nel 2018, poco più che maggiorenne, collaborando con varie organizzazioni e attualmente lavorando per l’Unrwa, l’agenzia Onu più contestata. L’unica ancora a Gaza a dare aiuto ai palestinesi ma anche accusata di essere filo Hamas. Non è vero, indagheremo, dicono i responsabili del gruppo. Ma la verità è semplice: da quelle parti il confine tra professionalismo e simpatie politiche è sfumato, e molti dipendenti nella Striscia solidarizzano – com’è ovvio – con le azioni compiute dal gruppo radicale, che compie azioni terroristiche ma anche di welfare sul territorio. Tant’è che persino Antony Blinken, il segretario di Stato statunitense, ha riconosciuto lo scorso 4 novembre l’impegno umanitario dell’Unrwa. “Sta facendo un lavoro staordinario sul campo”, ha detto.
Se la tattica politica degli israeliani e dei pro-israeliani è quella di screditare queste istituzioni che operano in una sorta di terreno grigio tra militanza armata e civili innocenti, i video e le foto di Azaiza la boicottano mostrando, incessantemente, città in rovina e bambini morti o resi orfani senza indagare la presenza, vera o presunta, dei “terroristi di Hamas” sul campo. Le sue foto ispirano altre e più pressanti riflessioni, che vanno dalla catastrofe umanitaria in corso, ai 1,6 milioni di palestinesi rimasti già senza casa, alla potenziale nuova Nakba in corso, vale a dire una pulizia etnica di proporzioni bibliche. La accresciuta visibilità di Azaiza dopo l’inizio del confitto gli consente di veicolare riflessioni non geopolitiche ma sulla cruda realtà del conflitto – di ogni conflitto – fatta di corpi e distruzione.
Il prezzo da pagare da questi reporter è altissimo. Secondo fonti palestinesi, Israele ha ucciso almeno 39 giornalisti a Gaza dall’inizio della guerra. Come chiunque altro nella Striscia, questi giornalisti sono stati sfollati e hanno trovato rifugio in ospedali che funzionano a stento e solo lì riescono a ricaricare cellulari, laptop e telecamere, aspettando un debole segnale di Rete per inviare il loro materiale all’esterno.
In un momento in cui a qualsiasi giornalista di altre nazioni è impedito di entrare a Gaza, Azaiza non è solo nel documentare la crisi. Altri giornalisti come Ahmed Hijazi, Mahmoud Zuaiter e il defunto Ali Nisman hanno contribuito a far arrivare il dramma palestinesi nella case di milioni di spettatori distanti, sfidando le narrazioni occidentali prevalenti e facendo avere risonanza mondiale alla verità di Gaza: riguardo all’assedio israeliano, alle interruzioni di elementi essenziali come acqua, cibo, elettricità e comunicazioni.
Nonostante la celebrità improvvisa, Azaiza non è stato risparmiato dalla catastrofe. In un video ha rivelato che oltre 15 membri della sua famiglia sono stati uccisi dagli attacchi aerei israeliani. L’immagine del profilo di Azaiza lo ritrae tra le macerie, indossando una giacca con la scritta Press e una telecamera, accompagnata dalla didascalia: “Nessuno sceglie la propria vita“.