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Parigi. Alla finestra c’è il Killer che aspetta pazientemente che la vittima torni nel suo appartamento posto nel palazzo di fronte. Il Killer si ripete nella testa le sue regole, mentre fa yoga, mentre mangia, mentre si lava; si ripete le sue norme di comportamento per essere un killer gelido, efficace, puntuale, attento e soprattutto infallibile. In questo caso, però, il suo essere infallibile scricchiola e il Killer sbaglia. Nel suo mestiere, il killer su commissione, l’errore non è contemplato e la ritorsione da parte dei mandanti non si fa attendere e si esprime su ciò che gli sta attorno. Il Killer questo lo sa e corre verso la sua casa nella Repubblica Domenicana dove trova quello che non voleva vedere: la sua casa è stata messa a soqquadro e la sua campagna ha subito un profondo pestaggio, ma è viva. La reazione del Killer non si fa attendere e scatta una caccia all’uomo tra mandanti ed esecutori che lo porta in giro per il mondo al fine di capire se le sue regole, quelle che si ripete continuamente, siano valide e attuabili.
Partiamo da questo, dalle regole. Il Killer, un gelido Michael Fassbender che sempre più utilizza il suo corpo asciutto per impersonare macchine umane, ripete dentro la sua testa continuamente questi dettami per educarsi, per tenersi sulla corda, per essere sempre concentrato e focalizzato. Queste voci sono espresse con la voce stessa di Fassbender che parla fuori campo continuamente, accompagnando lo spettatore dentro la sua psiche. Così facendo chi guarda si addentra nella sua vendetta non sviscerando, però, i motivi più profondi della sua esistenza o le dinamiche della sua vita (perché fa il killer, perché vive nella Repubblica Domenicana, qual è il suo pregresso di vita), ma semplicemente seguendo passo passo le sue tappe di morte. Il Killer, infatti, ovunque passi, uccide. Giunge da un avvocato, Charles Parnell, il mandante dei suoi lavori che questa volta, però, forse, lo ha tradito; arriva dagli esecutori materiali del tentato omicidio della compagna, interpretati da Sala Baker (il Bruto) e Tilda Swinton (l’Esperta), fino a colui che ha commissionato l’omicidio, il Cliente, interpretato da Arliss Howard, e forse la ritorsione. In ognuno di questi incontri, il Killer acquisisce consapevolezza sullo stato delle cose. David Fincher nel mostrare e spiegare ciò si attiene alle dinamiche narrative e visive consolidate nei suoi thriller. È un narratore interno alla storia che utilizza una focalizzazione zero (se vogliamo usare le caratteristiche del testo narrativo) perché conosce molto bene le caratteristiche e i pensieri del personaggio; ma ha anche un punto di vista aderente a quello del personaggio e quindi possiamo dire che la focalizzazione, il punto di osservazione è anche interno. Cinematograficamente questo come si traduce? Innanzitutto nella voce fuori campo del Killer che ci accompagna nel suo percorso di vendetta tra New Orleans, la Florida, New York e Chicago e poi attraverso la macchina da presa. Rimane incollata al corpo meccanico di Fassbender, del Killer, lo segue attentamente, così da scoprire a mano a mano il suo lucido piano, le sue intuizioni, i suoi stratagemmi per superare le frontiere, per noleggiare un’auto sempre con un’identità diversa, anche se magari una di quelle è quella reale del Killer. Così Fincher crea la tensione, sviluppa la sua trama di assoluta assenza di indizi. In questo il regista è un maestro ossia nel disorientare lo spettatore, nel fornirgli poche tracce a cui aggrapparsi per capire come si potrà svolgere la storia (i confronti illustri sono con Zodiac, Seven, Fight Club e The Game su tutti). Anche se il finale, trattandosi di una storia di vendetta, può apparire abbastanza prevedibile, in realtà non è così e il vero colpo di scena è proprio qui.
Ma perché Fincher e lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker hanno pensato a relegare l’unico elemento sorprendente della storia alla fine? Forse la sceneggiatura aveva un altro finale e il regista ha deciso di stravolgerla? Non si sa, ma lo escludiamo considerando la grande armonia lavorativa che scorre tra i due. In ogni caso al netto di ciò, rimane questo problema. Infatti The Killer è un film che nel suo sviluppo di circa 2 ore non conquista mai lo spettatore perché è la storia stessa che non offre spunti. Se i due avessero pensato, ipotizziamo, a una serie televisiva su questo personaggio, in ogni puntata sarebbe stato possibile incrociare una figura che avrebbe portato, poi, alla rivelazione finale, ossia giungere dai committenti dell’omicidio parigino. Nello sviluppo cinematografico, lo spettatore segue solo la macchina da presa e quindi i movimenti del Killer, è accompagnato dai suoi pensieri e dalla sue regole, e scopre quanto è facile diventare un potenziale criminale acquistando su Amazon i giusti strumenti (qui torna la critica al consumismo diffuso e imperante già visto in Fight Club).
In The Killer manca, insomma, proprio la storia. Eppure il film parte davvero bene con lo spunto narrativo delle regole che impostano la vita professionale del Killer, ma che nel prosieguo della pellicola rimangono un mantra in sottofondo e non diventano mai il vero snodo della storia. Eppure (ed è il secondo) sarebbe stato possibile per Fincher approfondire il tema delle regole e farlo diventare realmente, e non solo nominalmente, il fulcro di The Killer. Quando il Killer, infatti, incontra l’avvocato, colui il quale gli commissiona gli omicidi, in un dialogo fatto di colpi e sparachiodi, minacce e frasi dette digrignando i denti (queste sono di Fassbender) i due discutono del valore dei dogmi nel mestiere dell’assassino, se davvero siano così rigide, come pensa il protagonista, o se siano modificabili e adattabili da tutti i componenti dell’equazione criminale. A questo spunto si ricollega la già citata scena finale in cui avviene il colpo di scena del film. Nella parte centrale della pellicola, questo filo cade, si perde e rimangono le scene singole.
Se non fosse per la fotografia tetra e sinistra di Erik Messerschmidt, The Killer potremmo considerarlo un film non in linea con gli standard del cinema di Fincher. In realtà nonostante l’assetto fotografico, possiamo considerare The Killer un mezzo passo falso di un David Fincher che appare forse alla ricerca della grande storia che solo lui può raccontare.
Crediti fotografici: Netflix