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Un cambiamento piuttosto importante riguarda la creazione di due percorsi di richiesta di asilo, che renderanno più rapido il processo di espulsione. Il primo è quello tradizionale, che richiede diversi mesi per essere completato, e il secondo è una versione accelerata, che avverrà alle frontiere e dovrebbe durare un massimo di 3 mesi, durante i quali i richiedenti saranno trattenuti in strutture realizzate ai confini. Un nodo centrale di questo sistema è che non saranno le persone in arrivo a poter scegliere quale percorso seguire, ma verranno divise automaticamente in base al loro profilo, stabilito attraverso uno screening biometrico, che valuterà provenienza, professione, trasferimenti e precedenti, creando un’enorme banca dati su queste persone.
Il percorso “accelerato”
Il percorso accelerato alle frontiere sarà usato principalmente nei confronti di chi, per qualche ragione, viene considerato “pericoloso” dagli stati membri, per chi arriva dai paesi ritenuti “sicuri” e per chi proviene da paesi con un basso tasso di domande di asilo accolte. È molto probabile che la gran parte di queste richieste venga rifiutata e che le persone coinvolte siano espulse verso il loro paese di origine, nel caso sia considerato sicuro, o nei paesi terzi da cui partono per raggiungere i paesi europei, come la Libia, la Turchia o la Tunisia.
Le misure di espulsione andranno in particolare a limitare la possibilità di richiesta di asilo per chi arriva da paesi considerati “sicuri”, in base a una controversa direttiva europea del 2013, e renderanno più veloce la loro espulsione. L’Italia considera “sicuri” Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco , Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia. Già oggi, le persone in arrivo da questi paesi sono quelle con meno possibilità di vedere accettata la loro richiesta di protezione internazionale.
Il meccanismo di ricollocamento
Per quanto riguarda il meccanismo di ricollocamento, molto richiesto dai paesi di arrivo come Grecia, Spagna o Italia, si tratta di un semplice meccanismo emergenziale, da attivare solo quando un paese si dichiari “sotto pressione” a causa degli arrivi. Così, invece che predisporre un equo standard di redistribuzione, il Nuovo patto darà la possibilità ai cosiddetti paesi interni di poter scegliere se accettare di ricevere un certo numero di richiedenti asilo o di rifiutare pagando una quota al fondo comune dell’Unione europea per la gestione di queste persone. Si tratta di circa 20 mila euro per ogni richiedente asilo che ci si rifiuta di accogliere.