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Kerala, Tamil Nadu (India) – Nel 2014 Narendra Modi, oggi come allora primo ministro indiano, lanciava in pompa magna Make in India, l’iniziativa destinata a rilanciare l’attività manifatturiera del paese. La campagna era stata curata da Wieden+Kennedy, un’agenzia pubblicitaria statunitense, che tra gli altri ha lavorato con Nike. L’idea centrale è piuttosto semplice: incoraggiare le aziende a sviluppare e assemblare prodotti made in India. Il flusso di investimenti generato avrebbe contribuito a modernizzare le infrastrutture e a catalizzare capitali esteri, creando posti di lavoro e trasformando l’India in un “hub globale” di progettazione, manifattura ed export. Gli obiettivi erano molto ambiziosi: creare 100 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2022, portare il comparto manifatturiero al 25% del pil entro lo stesso anno (obiettivo ora spostato al 2025) e portare una crescita del settore del 12-14% annuo. L’ambizione del progetto, secondo il giornale The Hindu, è stata l’elemento che l’ha fatto fallire e l’India è ancora molto lontana dai numeri cinesi in termini di valore dell’industria manifatturiera. Allo stesso tempo però, un effetto immediato è stato il superamento di Cina e Stati Uniti in termini di investimenti esteri diretti nel 2015.
L’arrivo di Apple
Al netto della propaganda e della difficoltà di reperire informazioni precise sul suo reale andamento, Make in India racconta molto sul ruolo che Modi vede per il suo paese nel mondo, in particolare rispetto alla Cina. La produzione indiana è cresciuta solo del 1,3% nell’ultimo anno, ma quella di prodotti tecnologici è la sua punta di diamante. Nonostante le relazioni tormentate con alcune grandi compagnie del tech americane, con le quali il suo governo ha avuto screzi sul tema del controllo dell’informazione sui social, è proprio il rapporto con una di queste a fornire la chiave di lettura giusta. Parliamo di Apple e della produzione del suo dispositivo elettronico più venduto, l’iPhone, responsabile del 52% dei 383 miliardi di dollari di fatturato dell’azienda. Tata Group, il gruppo industriale più grande del paese, coinvolto negli anni in una serie di vicende piuttosto torbide, e con interessi che vanno dal mondo dell’aviazione a quello della produzione di tè, ha acquisito le operazioni sul suolo indiano di Wistron, una compagnia con sede a Taiwan che produce proprio l’iPhone. Secondo alcuni analisti questa mossa strategica segna uno spostamento cruciale nel panorama manifatturiero dei prodotti Apple in India.
A causa delle tensioni in corso tra gli Stati Uniti e la Cina, Apple ha annunciato di voler spostare quasi il 25% della sua produzione globale in India entro il 2025. L’acquisizione delle operazioni sul territorio nazionale di Wistron indica l’importanza crescente dell’India come polo manifatturiero e alternativa strategica alla Cina. In Bengaluru, nello stabilimento che con Wistron produceva iPhone SE dal 2017, Tata Electronics produrrà principalmente iPhone 14 e 15s. Inoltre, il gruppo ha manifestato interesse nella produzione di chip, segnalando una visione più ampia del proprio ruolo nell’industria dell’elettronica.
I fornitori di Taiwan
Nel frattempo, anche altre aziende taiwanesi che assemblano prodotti Apple, come Foxconn e Pegatron, stanno espandendo le loro linee di produzione nel paese indiano. Gli incentivi governativi alle aziende per aumentare la produzione e l’occupazione hanno reso l’India una destinazione sempre più attraente per gli investimenti internazionali, che ora sta emergendo come scelta preferita per le imprese che desiderano ridurre la loro dipendenza dalla Cina. La ragione principale è ovviamente legata ai costi, oltre che a questioni geopolitiche. I lavoratori dello stabilimento Wistron, per il 90% donne, guadagnano circa 169 euro (15.250 rupie) al mese, un aumento rispetto ai 133 euro (12.000 rupie) che percepivano fino al 2020.
Il passaggio di proprietà è stato salutato con favore dalla forza lavoro, che negli ultimi anni aveva protestato violentemente per le condizioni in cui si trovava. Nel dicembre 2020, la fabbrica di Wistron nello stato del Karnataka, a Narasapura, era stata costretta a chiudere per tre mesi dopo che i lavoratori avevano danneggiato la produzione durante le proteste per il mancato pagamento dei salari, causando perdite milionarie. Simili circostanze si erano verificate in uno stabilimento cinese di Foxconn.