giovedì, Dicembre 26, 2024

Antartico, dopo 50 anni forse risolto il mistero del gigantesco buco nel ghiaccio

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Negli anni ’70 abbiamo iniziato a monitorare gli andamenti stagionali del ghiaccio marino antartico attraverso immagini raccolte da satelliti. Questo ci ha permesso di imparare molte cose e, soprattutto, di studiare l’evoluzione temporale dei suoi cicli di contrazione ed espansione. Ma queste immagini hanno anche messo in evidenza un fenomeno la cui origine è finora rimasta avvolta nel mistero: parliamo di un enorme buco, che durante gli inverni antartici del 2016 e del 2017 ha raggiunto dimensioni pari a quasi due volte quelle del Galles. Oggi, grazie a uno studio appena pubblicato su Science Advances, potremmo finalmente avere una spiegazione per la sua formazione, a cui avrebbero contribuito una serie di fattori concomitanti, incluso un processo noto come “Ekman transport”. Vediamo di che cosa si tratta.

La storia della Maud Rise polynya

Il buco in questione è stato battezzato dagli esperti col nome di “Maud Rise polynya”. Polynya è la parola utilizzata in gergo per indicare questo tipo di fenomeno, che si manifesta regolarmente vicino alla costa, mentre è molto più raro che si verifichi in corrispondenza del mare aperto, com’è accaduto nel caso preso in esame dai ricercatori. La Maud Rise polynya si è formata infatti nella banchisa che ricopre il Mare di Weddel, e in particolare in corrispondenza della montagna sommersa “Maud Rise”, che ha dato il nome al buco.

La Maud Rise polynya è stata osservata per la prima volta negli anni ’70 e si è ripresentata tutti gli inverni dal 1974 al 1976. “Gli oceanografi di allora pensarono che si trattasse di un evento annuale”, spiega Aditya Narayanan, che ha guidato lo studio ed è ricercatrice presso l’Università di Southampton (Regno Unito). Ma, al contrario delle previsioni, negli anni a seguire il buco è comparso solo sporadicamente e per brevi periodi. “Il 2017 è stata la prima volta che abbiamo avuto una polynya così grande e longeva nel Mare di Weddell dagli anni ’70”, prosegue Narayanan.

Sale e correnti

Fra le cause, spiegano gli autori dello studio, c’è sicuramente il fatto che nel corso del 2016 e del 2017 la grande corrente oceanica circolare intorno al Mare di Weddell si è rafforzata. Una delle conseguenze di questa corrente è che lo strado profondo di acqua più calda e ricca di sale rispetto a quella superficiale si mescola con quest’ultima, aumentandone temperatura e salinità. Questo fenomeno di upwelling, cioè di risalita delle acque profonde verso la superficie, aiuta a spiegare il motivo dello scioglimento del ghiaccio marino, dice Fabien Roquet, docente presso l’Università di Gothenburg (Svezia) e co-autore della ricerca. L’aumento della concentrazione di sale, infatti, abbassa la temperatura di congelamento dell’acqua. “Ma lo scioglimento del ghiaccio marino porta a un abbassamento della temperatura delle acque superficiali, che a sua volta dovrebbe interrompere il rimescolamento”, prosegue Roquet: “Quindi, deve avvenire un altro processo affinché la polynya possa persistere. Deve esserci un ulteriore apporto di sale da qualche parte”.

Ekman transport

Ed è a questo punto che entra in gioco il processo noto come “Ekman transport”, che riguarda il movimento dell’acqua in dipendenza dei venti che soffiano sulla sua superficie. Si tratta di un fenomeno che può influenzare le correnti marine e che in questo specifico contesto contribuirebbe a portare in superficie il sale accumulatosi sulla montagna sommersa Maud Rise a causa della corrente circolare di cui parlavamo prima. “Il trasporto di Ekman era l’ingrediente essenziale mancante, necessario per aumentare il bilancio salino e sostenere il mescolamento di sale e calore verso le acque superficiali”, aggiunge Alberto Naveira Garabato, docente presso l’Università di Southampton e co-autore della ricerca.

Studiare questo tipo di formazioni è importante, sottolinea Sarah Gille, co-autrice dello studio e docente presso la University of California San Diego, sia perché le polinie possono avere forti ripercussioni sulla circolazione delle correnti oceaniche, e quindi sulla distribuzione del calore fra oceano e continente, sia perché i fenomeni che portano alla loro insorgenza sono gli stessi che stanno causando una riduzione del ghiaccio presente nell’Oceano Antartico: “Per la prima volta dall’inizio delle osservazioni negli anni ’70 – conclude la ricercatrice –, si registra una tendenza negativa del ghiaccio marino nell’Oceano meridionale, iniziata intorno al 2016. Prima di allora era rimasto piuttosto stabile”.

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