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A venticinque anni da Eyes Wide Shut, con Babygirl Nicole Kidman torna a interpretare sullo schermo le giostre del desiderio, dalla prospettiva, questa volta, di una donna di potere. In Babygirl, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, dà voce e soprattutto corpo a un’amministratrice delegata che perde la testa per il suo giovane stagista, con cui intraprende una relazione clandestina sessuale. Primo ribaltamento, per una volta è la donna a essere nella posizione di potere. Secondo ribaltamento: il potere lei lo cede ben volentieri a lui tra le lenzuola. Accetta di buon grado un patto erotico: farà tutto quello che lui le chiederà.
Costola adulta dell’adolescenziale Cinquanta sfumature di grigio, il film della regista Halina Rejin con Nicole Kidman si rivela una commedia pervasa dall’eros (patinato) come dall’ironia. Non ha lo spessore narrativo e la decadenza di Shame, tanto meno la determinazione a indagare e mostrare la sessualità in modo esplicito sullo schermo alla Gaspar Noé, in compenso ha l’intelligenza di raccontare con umorismo e senza prendersi troppo sul serio una crisi di mezza età al femminile, che è soprattutto voglia di provare per una volta nella vita un orgasmo come si deve.
Diritto inalienabile per qualunque essere umano, ma se sei donna, e moglie, e madre, e anche una top manager come puoi fare? La risposta la protagonista la trova in un giovane stagista (Harris Dickinson) dai modi ora teneri, ora autoritari. Menzione speciale per Antonio Banderas, nei panni del marito tradito, un regista creativo, empatico e per nulla macho, che saprà farsi benvolere dal pubblico. Non tutto regge nella sceneggiatura, la perfezione è altrove (come pure il sesso estremo, si vede poco e niente, è tutto molto soft), ma Babygirl ha il pregio di non avere altre pretese che intrattenere e magari far riflettere sulla libertà delle donne di pretendere di esaudire il proprio piacere. Qualunque pratica (extraconiugale) richieda.