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Di nuovo, non era un’idea sbagliata in sé, ma Joker: Folie à Deux non la sviluppa realmente e il risultato è un pessimo film. Non ha vere idee, non ha un intreccio sufficientemente interessante da condurre la narrazione (cioè: annoia), non ha niente da dire che non sia la ripetizione di quel che abbiamo capito dal film precedente (la violenza è una porta d’ingresso per il mondo dello spettacolo, la società soffia sulla follia dei singoli) e, soprattutto, ha una pessima idea di musical. Per quanto è evidente che in un film di questo tipo i numeri musicali non possano essere il centro di tutto come lo sono in La La Land, non sono pochi e sono molto ininfluenti. Lady Gaga è il personaggio che li regge quasi tutti e non solo non riesce a fare il miracolo di animarli da sola, ma proprio tutto il suo personaggio, esaurita la funzione di spingere Arthur verso la follia, non ha nessuna economia. Non la conosciamo mai davvero, non ci interessa il suo destino, non ha una relazione significativa con il protagonista ma solo una superficiale. Talmente è ripetitivo lo schema delle sue canzoni che, quando Arthur le dice “Please stop singing”, potrebbe anche essere una richiesta che viene dal pubblico.
In teoria questo film farebbe anche un piccolo passo verso il mondo dei fumetti. Era molto lontano il primo, ma adesso il sequel avendo un approccio più grafico e incorporando dei numeri musicali, effettivamente mostra quella maniera di trasfigurare una persona in un’icona, che è una buona parte di ciò che fanno i fumetti di supereroi americani (passare da Peter Parker a Spider-man, da Clark Kent a Superman). Eppure, nonostante questo, Arthur Fleck qui diventa definitivamente qualcosa di distinto e diverso dal Joker (inteso come il personaggio della serie Batman), perde ogni legame anche con sue eventuali versioni alternative o più adulte. Definitivamente è un altro personaggio. Peggiore e molto meno significativo.
L’unica parte di tutto Joker: Folie à Deux che davvero poteva suggerire un film migliore è un breve cartone animato iniziale, realizzato nello stile dei Looney Tunes della Warner (con la stessa sigla) in cui è raccontata la lotta di Arthur Fleck (nei panni di Joker) con la sua ombra, nel momento in cui si appresta ad andare sul palco per un suo programma televisivo. Lì c’è tutta l’idea di una doppia personalità che viene sbloccata dal riflettore, dal palco e dalla possibilità di accedere a un pubblico. E nonostante sia un cartone questa seconda è una personalità nefasta, violenta e che di quell’approvazione del pubblico fa l’uso peggiore. Poteva essere il fine di un secondo film sul Joker di Phillips/Phoenix, sarebbe stato coerente con il primo e avrebbe portato avanti un discorso che i cinecomics ancora non sono in grado di fare (il passaggio da persona a personaggio è una mostrificazione incitata e sostenuta da un pubblico). Ma è solo un cartone introduttivo.