Non vi ho parlato molto della vita alla Mostra del Cinema in queste Cronache perché ammetto che non la sto vivendo particolarmente. Seguire giornalisticamente un evento come questo, di anno in anno sta diventando sempre più difficile e complesso, per il numero di film, per gli eventi, per tutto ciò che vi ruota attorno. Devo ancora andare a vedere la Match Point Arena di cui vi ho parlato qualche giorno fa. Devo ancora, per la prima volta, entrare all’Hotel Excelsior semplicemente per mettere il naso in giro. Questo splendido albergo liberty-arabeggiante accoglie con il passare degli anni sempre più numerosi eventi. Solitamente al piano terra ci sono le sale dedicate agli incontri e alle conferenze delle Film Commission regionali o anche gli spazi della varie Associazioni di cinema che assegnano i loro premi collaterali in accordo con la Mostra. Poi gli altri piani dell’Excelsior ospitano le stanze dove alloggiano le delegazioni dei film, e gli uffici di alcuni case di produzione (tranne Fremantle che da un paio di edizioni ha preso una villa molto elegante sul Lungomare Marconi). Queste, qui in nell’Hotel, mettono anche a disposizione lo spazio ufficiale per le interviste agli attori e ai registi dei loro film; mi riferisco a quelle che vedete solitamente sui social o in televisione in cui il giornalista e l’attore/regista sono posti l’uno di fronte all’altro con sullo sfondo il poster ufficiale del film. Il terzo piano dell’Excelsior, poi, è occupato dal Venice Production Bridge, il mercato dei film che Alberto Barbera ha voluto, giustamente, per rendere la Mostra del Cinema un terreno di scambio in cui i produttori o i registi che vogliono commercializzare i loro film possono qui incontrare distributori o produttori più grossi e trovare, magari, così, un accordo. Per intenderci il Festival di Cannes ha un super mercato consolidato che esiste da svariati decenni, mentre in questo ambito la Mostra si è affacciata solo da qualche anno. Insomma, l’Hotel Excelsior rimane un labirinto in cui perdersi se si è un addetto al settore, mentre i fan del cinema invece difficilmente potranno trovare i propri idoli in giro per l’Hotel perché sono alloggiati in una sua zona strategica.
Comunque tornando alla mia vita al Lido in questi giorni, come dicevo, non ho ancora avuto la possibilità neanche di avventurarmi negli angoli di questa cittadella del cinema al Lido. Non sono nemmeno entrato in tutte le sale. Non ho ancora varcato la soglia della scomoda Sala Corinto (per fortuna), né quella della Sala Volpi o dell’altra sala scomodissima, la Sala Casinò; ho varcato invece l’ingresso della Sala Perla e mi sono istantaneamente congelato. Davvero, non potete capire quanto è gelida l’aria condizionata di quella sala, da sempre! Ho avuto modo, invece, di andare al cinema Astra, il cinema del Lido, dove ho visto Phantosmia di Lav Diaz. È un cinema molto intimo, composto da due sale non particolarmente grandi, con sedute comode ben separate e distribuite così da vedere agevolmente lo schermo da ogni posizione. In questo resoconto di cose viste e non viste, ho assistito, però, con mio sommo divertimento anche quest’anno a un fenomeno che si ripete ciclicamente. I chioschetti posti lungo il Lungomare Marconi accolgono praticamente a ogni ora del giorno un foltissimo numero di accreditati che o mangiano o bevono l’aperitivo. La cosa che mi fa sempre ridere è vedere come questi condividano lo spazio con i bagnanti del Lido, perché oltre la strada c’è il mare. Si possono vedere, così, donne e uomini magari stranieri, che cercano di ordinare al personale rigorosamente veneziano dei chioschetti posti vicino a un uomo o una famiglia in costume che mangia. Questo contrasto di culture e di vestiario mi è sempre risultato simpatico! Ah, ultima cosa che ho notato è che per l’ennesimo anno il Grand Hotel Des Baines è chiuso, nonostante i molti proclama di ristrutturazione e riapertura del Comune di Venezia e/o di altre cordate di privati.
E il cinema? Eccolo! Vengo alla materia dei film. Parto da Joker: Folie à Deux. Il caro Todd Phillips torna in concorso alla Mostra del Cinema dopo cinque anni dal Leone d’oro con Joker. Questo secondo atto o capitolo, è il preciso proseguimento del primo. Inizia proprio dalla fine dell’altro film con Arthur Fleck in carcere a seguito della strage compiuta in diretta tv da Murray Franklin. Ora, l’uomo deve intraprendere il processo in tribunale completamente assuefatto dalle medicine assunte e in una condizione di vita davvero misera. Poco prima dell’inizio del dibattimento, incontra Lee, Harleen Quinzel, una ragazza apparentemente non psicotica che crede più in Joker, l’anima di Arthur, e lo convince a lasciare che questa anima prevalga sul raziocinio, un po’ addormentato, di Arthur. Questa è la chiave del sequel di Joker e se raccontato in questi termini il film è abbastanza convincente perché, come ha già fatto nel primo capitolo, il regista costruisce la consapevolezza del protagonista e la sua follia anarchica a poco a poco in un lungo processo. C’è però, un problema in Joker: Folie à Deux, c’è qualcosa che impedisce a questo percorso di svilupparsi ed è l’elemento musicale. La musica appartiene a Joker e questo era chiaro sin dal film del 2019; la musica di questo secondo atto, però, non è di sottofondo, ma è parte integrante del film. Praticamente Lee, la magica Lady Gaga che però quando recita si fa chiamare Stefani, il suo nome di battesimo, non comunica con Arthur dialogando, ma cantando. Quasi in ogni scena si assiste a un duetto canoro di Joker e Lee. L’elemento canzone è, dunque, il canale di comunicazione dei due protagonisti, e il modo con cui la ragazza sveglia Joker in Arthur. E quindi si canta! Ma quanto cantano e a volte pure ballano! Se sentire, infatti, Lady Gaga intonare un pezzo è normale, la voce roca di Joaquin Phoenix, che in questa sfida si è comunque difeso brillantemente, può risultare fastidiosa. Joker: Folie à Deuxquindi si trascina secondo questo schema narrativo: canzone-scena di crescita di Arthur-canzone-scena del processo-canzone e così via. Capite bene che la visione di un film così strutturato fa perdere la voglia di starci dietro anche al più incallito fan del cattivo di Batman. Soprattutto nella parte finale, il pubblico è veramente messo alla prova da questa composizione narrativa. In sala, infatti, ho visto gente guardare convulsamente l’orologio; applaudire a ogni acuto di Stefani; sbadigliare; chi perdersi nella visione del film. Phillips è così passato dal super realismo di Joker al carattere d’immaginazione canora e sonora del secondo atto che stando così le cose è stato pensato appositamente per la cantante statunitense, mi viene da pensare. Il regista, infatti, le dedica quei vorticosi giri con la macchina da presa, i primissimi piani, le inquadrature più iconiche che in Joker aveva offerto a Phoenix. Non saprei neanche dire che se tolte circa 2/3 delle canzoni il film possa reggere narrativamente perché a un certo punto si perde anche il senso della pellicola.
Phillips si è presentato in conferenza stampa parecchio nervoso perché, e lui stesso l’ha ammesso, sente la pressione del successo del primo film. Ha parlato poco, cercando negli attori delle spalle per le risposte. Ma da un lato aveva Stefani Germanotta un po’ infastidita perché non era al centro delle domande dei giornalisti (valutazione mia personalissima) e dall’altro aveva Phoenix che è notoriamente una scheggia impazzita e non si sa mai che possa combinare (ricordo la conferenza stampa di The Master di Paul Thomas Anderson in cui sbadigliava, rideva, beveva convulsamente l’acqua e chiedeva di poter fumare). Comunque Phillips ha sottolineato come la musica abbia un ruolo importante per la definizione del personaggio, sin dal primo film, perché rappresenta la vera anima di Joker. Giusta valutazione, ma le canzoni in Joker: Folie à Deux sono davvero troppe e, soprattutto, tolgono concentrazione a chi guarda. Ma quindi il film mi è piaciuto? No, mi ha un po’ annoiato, ma almeno alla luce di questo secondo capitolo, ho rivalutato il primo, che avevo detestato, giudicando positivamente la sua compattezza narrativa e il forte legame personaggio-contesto che in questo secondo atto svanisce.
L’altro film di cui vi voglio parlare è Harvest di Athina Rachel Tsangari. Forse avrei fatto meglio a non vederlo, non perché sia un brutto film, ma fondamentalmente perché non esiste. Nelle Cronache dal Lido giorno 7 vi dicevo che il film si inserisce nella visione “storicistica”, diciamo così, del Concorso di Venezia 81. Vi ho dato questo risvolto della storia, deducendolo da quanto scritto nella cartella stampa del film, ma in realtà non è così. Non è ambientato durante la prima Rivoluzione industriale, ma credo piuttosto almeno due secoli prima considerando i costumi che sono assimilabili a quelli di Non ci resta che piangere. Si svolge in Inghilterra, questo sì, ma non so dirvi se Tsangari utilizzi la storia per parlare del presente, perché non ho capito il racconto del film. Per un’ora abbondante non succede nulla, ma davvero nulla. Si vedono solo primissimi piani super particolari di insetti, piante, alberi, e delle azioni degli abitanti che vivono in simbiosi con la propria terra. Addirittura il protagonista, che ho capito chiamarsi Walter Thrisk solo dopo molto, mangia la terra e la corteccia degli alberi per sottolineare la profonda sintonia con il luogo in cui vive. Poi dopo un’ora arriva il cattivo di turno che è il cugino del re/feudatario della comunità che si erge a padrone perché legittimo proprietario di quella terra. I suoi comportamenti spicci e brutali creano un solco di odio molto profondo con la comunità e in mezzo si pongono appunto Thrisk che non si capisce per che parte stia, e un uomo detto, il Mappatore, perché disegna appunto delle mappe. Poi ci sono altri personaggi appartenenti a una specie di setta a cui non ho saputo dare una collocazione precisa nella storia. Oltre a questa rivalità, il vero problema è il Mappatore che si chiama Quill, perché il suo disegnare le mappe rappresenta per la comunità un elemento di disturbo, quasi come fosse uno stregone. Se, come dice la sinossi ufficiale del film, la modernità sconvolge il villaggio, credo che questa sia rappresentata dalla figura del Mappatore. Mi sfugge però, perché non chiaro, l’elemento di innovazione tecnologica che dovrebbe creare altro scompiglio nella comunità. Cosa rimane di Harvest? Un delirio visivo di immagini molto fine a se stesso. Secondo me c’è un’idea alla base di questo film, ma è rimasta bloccata, serrata, incastrata, incarcerata nella mente di Tsangari. I critici italiani e internazionali hanno abbastanza affossato con i loro giudizi il film, ma questo poco mi conforta. Chi ha visto Harvest e vuole aiutarmi, scriva alla mail di redazione.
Altro ancora (più brevemente)
Il pubblico degli addetti al settore della Mostra del Cinema sta diminuendo. Dopo la presentazione per la stampa di stamane diJoker: Folie à Deux, ho visto nel pomeriggio molti accreditati con enormi valigie prendere il vaporetto (li ho riconosciuti perché l’accreditato non si sfila mai dal collo il collarino con l’accredito. Mai! Questo vale per la Mostra, come per il Festival di Berlino o Cannes). Nonostante manchino da vedere circa cinque film del Concorso-Venezia 81, il più delle visioni sono state proposte, quindi è lecito veleggiare verso casa o magari verso il Festival di Toronto (questo vale soprattutto per i giornalisti stranieri) che inizia venerdì 6 settembre, come vi avevo già segnalato.
Ieri alla Mostra del Cinema si è tenuto un convegno organizzato da La Biennale in collaborazione con Università Cattolica, Eurimages, Direzione generale Cinema e Audiovisivi, Vision Distribution e Women in Film, Televisione & Media Italia sulla parità di genere nel mondo del cinema. Le conclusioni hanno sancito che prima di 20 anni non si raggiungerà la vera uguaglianza nel settore audiovisivo. Il dato positivo è che la situazione sta comunque migliorando e che il numero di donne nel cinema cresce costantemente ma le percentuali non sono ancora bilanciante. C’è da sperare che questo percorso non fermi la sua crescita, ma anzi che corra più velocemente.
Il Fatto Quotidiano dà per certo il Leone d’oro di Venezia 81 a The Brutalist di Brady Corbet con un articolo dell’1 settembre intitolato: “Venezia 2024, fumata bianca: ad oggi il Leone d’oro del Festival è The Brutalist” con Adrien Brody sicura Coppa Volpi per la Miglior Interpretazione maschile. Possibile? Probabile? Ma poi, che intende il giornalista con “fumata bianca”? Chi ha acceso questo fuoco? Forse è solo una supposizione o un delirio?
Isabelle Huppert, ne parlavo nelle Cronache dal Lido di ieri, è imprevedibile perché è una donna che conosce molto bene il cinema e le sue dinamiche. C’è da dire però che la Universal, la casa di produzione di The Brutalist, sta conducendo una campagna mediatica ad altissimi livelli perché vuole proiettare film e regista alla notte degli Oscar 2025 (i tanto ambiti premi dell’Academy!!!). Quindi, è forse questa pressione mediatica che fornisce al giornale questa certezza di vittoria? Oppure deriva dal fatto che la giuria ha in mano una sorta di lista dei film che si devono contendere i premi principali? E chi l’avrebbe decisa questa lista? La direzione della Mostra e le case di produzione? Non sarò così maligno nel pensare questo. Allontano da me questo pensiero, per quanto…
Per oggi è tutto. Domani si cominciano a tirare le fila di questa Mostra del Cinema, poi venerdì è il giorno di Takeschi Kitano.
Crediti fotografici
Foto 1 PHOTOCALL – JOKER FOLIE a DEUX – Film Delegation-Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia – Foto ASAC – 1
Foto 2 JOKER FOLIE a DEUX – Joacquin Phoenix e Lady Gaga – Credits Niko Tavernise 2024 Warner Bros. Entertainment Inc – 2
Foto 3 JOKER FOLIE a DEUX – Actor Joacquin Phoenix – Credits Niko Tavernise 2024 Warner Bros. Entertainment Inc
Foto 4 PRESS CONFERENCE – JOKER FOLIE a DEUX – Film Delegation – Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia -Foto ASAC – 3
Foto 5 HARVEST – Actor Caleb Landry Jones – Credits Jaclyn Martinez Harvest Film Limited
Foto 6 PHOTOCALL – JOKER FOLIE a DEUX – Actress Lady Gaga – Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia – Foto ASAC – 7
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