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Un vecchio virus. Un caso di poliomielite misterioso in un piccolo paziente cinese. E un’indagine nata per interesse storico, e che ha portato invece alla soluzione di un piccolo mistero scientifico. Sono gli ingredienti di una vicenda descritta in un recente articolo pubblicato sulla rivista Virus Evolution dai ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi, in cui lo studio del genoma di quattro campioni di poliovirus raccolti da Albert Sabin, il padre del più diffuso vaccino contro la poliomielite, ha portato a riclassificare un contagio che nel 2014 era stato ritenuto un effetto collaterale della vaccinazione, e che invece ora sembra, con ogni probabilità, essere stato causato da un incidente di laboratorio. Vediamo di cosa si tratta.
Il vaccino anti polio
La poliomielite è una malattia che accompagna la nostra specie da millenni. È causata da un virus, il poliovirus, che si trasmette principalmente per via oro-fecale ed è estremamente contagioso. Si ritiene che per migliaia di anni sia stata proprio l’elevata infettività del virus, accompagnata da un’esposizione pressoché costante al patogeno garantita dalle scarse condizioni igieniche, ad aver tenuto a freno le forme più gravi di malattia: moltissimi bambini entravano in contatto con il virus nei primi mesi di vita e sviluppavano un’immunità naturale al patogeno, rendendo rari i casi più gravi, in cui l’infezione colpisce il sistema nervoso, distruggendo i neuroni motori e causando paralisi e debolezza muscolare, spesso irreversibili.
Come dicevamo, nonostante la presenza ubiquitaria di questo patogeno non si conoscono epidemie importanti di poliomielite fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo, quando invece la poliomielite iniziò a trasformarsi in una crisi sanitaria globale, che provocava migliaia di decessi e casi di invalidità in tutto il mondo. Questo cambiamento epidemiologico si ritiene legato al miglioramento delle condizioni igienico sanitarie della popolazione arrivato all’alba del ventesimo secolo, che ha ridotto l’incidenza di molte gravi malattie infettive, ma paradossalmente nel caso della polio ha intaccato anche l’immunità di popolazione, e aumentato di pari passo i rischi di forme gravi tra i più piccoli, che sempre più di rado incontravano ora il virus nei primi mesi di vita, quando sono ancora protetti dalle difese immunitarie materne.
Le proporzioni globali del problema spinsero a una corsa al vaccino che diede i suoi frutti verso la metà del secolo scorso: prima con quello a virus inattivato sviluppato da Jonas Salk, e quindi con quello a virus attenuato di Albert Sabin, approvato nel 1962 e utilizzato nei decenni successivi in tutto il mondo con incredibile efficacia: oggi infatti la malattia è sull’orlo dell’eradicazione, due dei tre ceppi del virus sono già scomparsi, e il terzo rimane endemico unicamente in Pakistan e in Afganistan.
Vecchi virus
È in questo scenario che si inserisce la ricerca realizzata dall’istituto Pasteur. I suoi autori si sono infatti ritrovati per le mani quattro vecchi campioni di poliovirus raccolti da Sabin in persona più di 60 anni fa e spediti ai colleghi francesi per studiare l’effetto della temperatura (e quindi della febbre) sulla virulenza dei virus, e lavorare contemporaneamente alla loro attenuazione, un processo che veniva portato a termine coltivando i virus a temperature sub-fisiologiche (inferiori a quelle del nostro corpo), per produrre mutazioni genetiche spontanee che ne riducessero la virulenza nell’organismo umano. Attualmente, è in corso una campagna globale che punta a eliminare tutti i vecchi campioni di virus custoditi nei frigoriferi dei laboratori di mezzo mondo, per ridurre al minimo le probabilità di reintrodurre accidentalmente il patogeno nell’ambiente proprio ora che ci siamo avvicinati così tanto alla sua scomparsa dal pianeta. Prima di distruggerli, però, i ricercatori francesi hanno pensato bene di sequenziarne il genoma, in modo da preservare le loro informazioni genetiche in caso di futura necessità.