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Dal punto di vista economico, il gruppo sta costruendo un’architettura finanziaria parallela a quella dominata dall’Occidente. La New development bank, creata nel 2015 come alternativa alla Banca Mondiale, e il Contingent reserve arrangement, pensato per competere con il Fondo monetario internazionale, sono i primi passi. Anche se c’è da dire che la banca ha erogato in dieci anni solo un terzo dei fondi che la Banca Mondiale ha impegnato nel solo 2021. Più ambiziosi i piani per ridurre la dipendenza dal dollaro: Iran, Russia e Cina hanno già finalizzato accordi per commerciare nelle rispettive valute locali, e si discute la creazione di una moneta comune Brics+.
L’espansione
Il vertice di Johannesburg dell’agosto 2023, dove è stata decisa l’espansione, ha visto la partecipazione di oltre 60 paesi, principalmente del Sud globale. Un segnale che, secondo il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, dimostra come “i Brics siano una partnership paritaria di paesi che hanno visioni diverse ma una visione condivisa per un mondo migliore“. Un’affermazione che però, secondo il Carnegie endowment, nasconde il crescente dominio cinese sul gruppo, come dimostrato dal fatto che “Xi Jinping ha imposto la sua visione dell’espansione contro i desideri dei suoi partner e il tanto decantato impegno dei Brics per il processo decisionale basato sul consenso”.
L’espansione potrebbe non fermarsi qui. Putin ha annunciato che ospiterà il primo vertice dei Brics+ a Kazan dal 22 al 24 ottobre 2024, e che “trentaquattro paesi hanno espresso interesse ad aderire al club, in una forma o nell’altra”. Tra questi figurano Algeria, Azerbaijan, Bahrain, Bangladesh, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakhstan, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Senegal, Thailandia, Venezuela, Vietnam e, sorprendentemente, la Turchia, membro della Nato. Una corsa all’adesione che riflette il crescente desiderio di molti paesi di sfidare quello che percepiscono come un ordine mondiale ancora dominato dall’Occidente.